…seppellire i morti

di Andrea Dessardo

Sono rare le figure in grado di riscuotere successo trasversalmente, di essere ammirate universalmente. Ugualmente rare sono le persone che riescono a strappare consensi quasi incondizionati in virtù della forza della loro testimonianza di vita, della loro coerenza, del loro eroismo. Madre Teresa di Calcutta è una di queste figure, amate al di sopra e al di là delle idee o dalla fede professata. Eppure anche madre Teresa ha i suoi detrattori.

Uno di questi sembrerebbe essere Martín Caparrós, giornalista argentino che collabora con “El País”. Il suo articolo Madre Teresa, una santa superveloce, nella traduzione italiana di Francesca Rossetti, è stato riproposto da “Internazionale” lo scorso 14 gennaio, perché esempio, secondo quest’ultima testata, di – immaginiamo – grande sagacia anticonformista. L’articolo prende le distanze dal granitico e unanime consenso di cui sembrava godere la figura di madre Teresa in vista della sua prossima canonizzazione, prevista per il 4 settembre, a circa diciannove anni dalla scomparsa e a tredici dalla beatificazione (ad opera di Giovanni Paolo II il 19 ottobre 2003).

Leggere Caparrós, che preferisce chiamare madre Teresa col nome secolare di Anjezë Gonxhe Bojaxhiu, richiama immediatamente alla memoria le parole di san Paolo (1Cor 1, 23) sul Cristo crocifisso «scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani». Caparrós sembra infatti indignato in particolare (ma non solo) per le parole che madre Teresa rivolse al sindaco di Washington Marion Barry dopo la visita a un ghetto nero della capitale statunitense: «C’è qualcosa di molto bello nel vedere i poveri che accettano la loro sorte, soffrendo come Gesù Cristo durante la passione. Il mondo guadagna dalla sofferenza dei poveri». Commenta Caparrós: «Servono molta fede e molta ideologia perché il tuo obiettivo non sia aiutare a vivere ma a morire». La critica a madre Teresa verte attorno alla presunzione per cui ella potesse, in realtà, curare i lebbrosi e gli altri miserabili di cui si fece carico, avendone anche i mezzi finanziari, ma si astenne dal farlo per ideologia, appunto perché persuasa di vedere nelle loro sofferenze quelle di Cristo. Francamente l’accusa è molto pesante.

Tuttavia ciò che colpisce di più è l’incapacità del giornalista (in buona o in mala fede?) di vedere del bene nell’assistenza offerta dalle Missionarie della Carità ai moribondi di Calcutta: aiutare a morire bene, agli occhi di Caparrós, è veramente stoltezza ed elevare agli altari chi ne fece la sua ragione di vita, ipocrisia. Diverse valutazioni fece nel 1979 il Comitato norvegese per il Nobel, il quale assegnò il premio alla suora; ebbene dubitiamo che oggi lo rifarebbe, anche perché proprio nel corso di quella premiazione, madre Teresa – che devolvette i soldi del premio ai poveri di Calcutta (per curarli?) – si lasciò scappare questa imperdonabile frase: «L’aborto è oggi la più grande minaccia per la pace nel mondo».