«Misericordia io voglio e non sacrificio»

di don Sergio Frausin

 

Commentando la condivisione della mensa con pubblicani e peccatori raccontata dal Vangelo di Matteo (9,9-13), Ilario di Poitiers si sofferma sull’interrogativo che turbava i farisei: «Perché Gesù mangia e fa festa con i peccatori?» (cfr. Mt 9,11) e spiega come il Signore sveli loro le parole della Legge affermando che era lui che soccorreva e guariva coloro che avevano bisogno, «mentre quelli che si ritenevano sani non avevano bisogno di alcuna cura. Ma, affinché comprendessero che nessuno di loro era sano, li invitò a imparare che cosa significava: “Misericordia (Ἔλεος) voglio e non sacrifici” (Os 6,6; Mt 9,13; 12,12). La Legge, cioè, legata all’osservanza dei sacrifici, non poteva recare soccorso, ma la salvezza era riservata a tutti gli uomini per il dono della misericordia. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori alla conversione. […] Ma nessuno è giusto in forza della Legge. Egli mostra dunque che il vanto della giustizia è vano poiché, essendo i sacrifici inutili per la salvezza, la misericordia era necessaria per tutti coloro che si erano stabiliti nella Legge» (Commento al Vangelo di Matteo, IX, 2).
Nel volto di Gesù ci viene incontro in modo supremo l’amore tenero e responsabilizzante, che accoglie e perdona gratuitamente, dell’unico Dio giusto e misericordioso.
Egli amava frequentare peccatori noti come tali e stare alla loro tavola (cfr. Mt 9, 10-11; Lc 15,1-2), con lo sguardo di un Dio che non guarda alla condizione sociale e alle convenzioni esteriori e non si separa da chi è peccatore e considerato impuro, non allontana, a differenza dell’atteggiamento farisaico che evita ed esclude, ma accoglie i perduti e offre una “possibilità nuova di rifarsi”1. Gesù non guarda al loro passato, ma apre loro un futuro nuovo e insegna alla sua comunità di ogni tempo, soprattutto quando restia e refrattaria ad accogliere i lontani, o chi non è formalmente in piena comunione con essa, che Dio esige soprattutto gesti concreti di misericordia a preferenza di una religiosità di facciata, o formale, di atti cultuali che mai possono dispensare dall’amore che accoglie, condivide e dà nuova possibilità di vita e di relazioni. Senza un cuore che riconosce umilmente le proprie presunzioni, la propria superbia e il proprio bisogno di misericordia per tornare ad essere fedele all’alleanza con Dio, ogni azione religiosa è vuota e inefficace.
Essere cristiani non ci rende impeccabili. «La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di discepoli in cammino, che seguono il Signore perché si riconoscono peccatori e bisognosi del suo perdono» (Papa Francesco, Udienza generale, 13 aprile 2016).
«La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa “vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia”. Forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia. La tentazione, da una parte, di pretendere sempre e solo la giustizia ha fatto dimenticare che questa è il primo passo, necessario e indispensabile, ma la Chiesa ha bisogno di andare oltre per raggiungere una meta più alta e più significativa» (Papa Francesco, Misericordiae vultus, 10).

 

 Gesù si rivela maestro autorevole della misericordia accogliente di Dio in una comunità come quella di Matteo in cui si era restii ad accogliere i pagani (cfr. G. Barbaglio, Il Vangelo di Matteo, in I Vangeli, a cura di G. Barbaglio, R. Fabris, B. Maggioni, Cittadella Editrice, Assisi, 2011, 1a rist., 268).

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