Colloqui ebraico-cristiani

di Giulio Bartoli

 

Nakhamù nakhamù ‘amì

Consolate, consolate il popolo mio 

Questo l’incipit di Isaia 40, che per ebrei e cristiani è annuncio di un tempo messianico: da qui si è partiti nella lectio biblica a due voci tenuta da Marco Cassuto Morselli e dal monaco Matteo Ferrari durante la 38° edizione dei Colloqui ebraico-cristiani svoltasi presso il monastero di Camaldoli (AR) tra il 6 e il 10 dicembre scorsi e incentrata sul tema della preghiera.

Nella riflessione del monaco Matteo la consolazione deriva dalla presenza del Signore, che non si è dimenticato, ma sta accanto al suo popolo in esilio. La voce ebraica ha poi attualizzato il passo pensando alla consolazione messianica ancora attesa da Israele e, assieme a lui, da tutto il genere umano: se ancora qualche uomo non è consolato dalla presenza di Dio, non è certo per il suo peccato, ma per il peccato nostro, di chi dovrebbe prepararGli la strada.

Ci si è confrontati insieme anche su una preghiera che ha diviso e ha generato inimicizia: la Preghiera universale del Venerdì Santo che, nella vecchia versione del Rito romano, invitava a pregare “pro perfidis Judaeis”. In questo caso, lo scivolamento di significato nelle lingue volgari del termine “perfidia” dall’idea di incredulità a quella di malvagità e il contesto molto performativo in cui tale preghiera era inserita (si veda l’assenza dell’invito a inginocchiarsi, presente invece in tutte le altre intenzioni di preghiera, e gli improperia che seguivano nella liturgia) contribuivano a generare una forte connotazione antisemita. Piero Stefani ha messo in luce come il Novus ordo del Rito romano abbia cercato di eliminare questo rischio: in particolare ha sottolineato l’identità del “Dio nostro” invocato nella nuova preghiera con il Dio nel cui amore e nella cui alleanza gli Ebrei restano fedeli.

D’altra parte, anche il Seder (l’ordinamento delle preghiere ebraiche), nella parte delle benedizioni (‘amidah) che viene recitata tre volte al giorno, ne prevede una, la dodicesima (detta birchat ha minim), contro i “settari”, che nel primo secolo comprendevano proprio i giudei convertiti al cristianesimo. Contro di essi si chiede che «non ci sia speranza, e tutti in un istante periscano». Un modo per le comunità di allora per costruire una identità interna – è stato detto – e per difendersi da un nemico, l’Impero romano, che le aveva sconfitte definitivamente. Oggi invece, pur immutata nella lettera, viene interpretata contro i “calunniatori” eliminando così l’antica intenzione del testo.

Insomma, anche nella preghiera possono essere trovati elementi molto divisivi: ma è vero anche che forse soprattutto grazie alla preghiera si può trovare la possibilità di incominciare una amicizia. È quanto accaduto nei gruppi di lavoro dove, tra l’altro, si sono messe in luce le radici ebraiche delle preghiere e dei riti cristiani (dal Padre nostro ai Salmi, dal Battesimo all’Eucaristia); nella tradizionale tavola rotonda dei giovani (nella quale si sono confrontati un ebreo, un cristiano valdese e un cattolico sul vissuto esperienziale della preghiera); nelle condivisioni a tavola e nelle lunghe serate. Si è creata un’amicizia non scontata, vista la problematicità di molti dei temi affrontati, ma possibile grazie alla schiettezza e alla profondità con cui ognuno si è messo in gioco e al clima irripetibile di preghiera custodito dai camaldolesi.

…Di quanti colloqui avremmo bisogno: abbiamo bisogno di questo metodo per affrontare le divisioni, non una volta l’anno ma ogni giorno, e non solo nel dialogo interreligioso ma proprio tra i più vicini alle nostre vite e nelle nostre comunità. Perché troppo spesso viviamo la divisione, così difficile da affrontare. Dal ritrovarsi amici di fronte a Dio, per quanto diversi: anche da questo viene la consolazione.