Aria di casa al Campo nazionale del Settore Giovani

di Giulio Bartoli

 

Dal 4 al 7 agosto 2017 a Fognano (frazione di Brisighella, nell’Appennino romagnolo non lontano da Faenza) si è svolto il Campo nazionale del Settore Giovani, tradizionale incontro estivo per le équipe del SG di tutta Italia – presenti circa cento giovani in rappresentanza di quaranta diocesi. Il titolo – Ricalcola percorso – anticipava un programma teso a rivedere e discernere punti di forza e di debolezza del Settore Giovani per programmare bene l’attività del triennio appena cominciato. Tra gli ospiti speciali don Vito Piccinonna, già assistente del Settore Giovani, e il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario del Sinodo dei Giovani. Di seguito l’esperienza il resoconto della personale esperienza di chi vi ha partecipato.

Un mezzogiorno di fuoco davanti a un pesante portone grigiastro; la suora che lo apre e mi introduce su un lunghissimo corridoio deserto, che sembra l’interminabile corsia di un vecchio ospedale: non è fresco, ma meno caldo rispetto a fuori… C’è il banco Ave, c’è il tavolo della segreteria, questi sì, riconoscibili, non estranei: il posto è giusto, la struttura a dir poco capiente. Ma non c’è anima viva: non un urlo, neanche un po’ di confusione – basterebbero, per trovare la strada. Arrivo al refettorio: ci sono degli ospiti anziani, le loro voci non turbano il silenzio del corridoio. Solo una suora mi saluta e passa avanti. Così mi ritrovo lì tutto solo, con il bagaglio in mano: un campo nazionale del Settore Giovani senza i giovani. Forse più che triste, è un pensiero quasi angosciante, uno scherzo diabolico: la sensazione di non avere la terra sotto i piedi. Arriva poi, per fortuna, un gruppo di msacchini: sanno dove andare, li seguo e arrivo nella sala della plenaria. Applausi, musica in sottofondo, presentazioni a tutto volume dal palcoscenico: il rumore quasi stordisce. La sensazione di alienazione scompare con il pranzo. Poi si parte, comincia il confronto vero, i lavori di gruppo, il silenzio, l’ascolto. Qualche nuova relazione si inizia a stringere. L’impressione di far parte di un’associazione più grande della mia diocesi, ma non per questo estranea (anzi, capace di mantenere un sapore familiare anche a livello nazionale) pian piano riesce ad emergere.

Gli inizi, al Campo come in diocesi, sono sempre difficili: magari la struttura anche c’è, l’organizzazione (l’équipe), gli spazi ed i tempi (tre anni) ci sono. Ma serve un progetto, che sia con qualcuno e per qualcosa. Sarebbe bello averlo pronto, con la certezza che funzioni. Invece occorre fare la fatica di pensarlo. Al Campo Nazionale credo si sia iniziato questo lavoro, di ricalcolare il percorso appunto, attraverso il discernimento, sentendo dentro di noi quali sono i nostri motivi di gioia e di speranza, assieme a ciò che temiamo e ci fa stare male; analizzando i punti di forza e di debolezza dei nostri settori. Un lavoro da fare assieme, molto meglio che da soli. La sensazione è che sia un percorso non facile, lungo, non subito fruttuoso. Ci sarà sempre infatti un rumore di fondo che impedisce l’ascolto, l’applauso facile per chi parla più forte, una certa ritrosia che a qualcuno impedisce di esprimersi, il caldo che toglie l’energia per fare qualsiasi cosa, un palcoscenico e una platea la cui separazione è difficile da valicare. Ma il Campo, con la sua aria di casa, è stata una buona palestra per imparare a superare questi ostacoli, o almeno, sapendo che esistono, per individuarli in anticipo.

Torna in alto