Felicità è sentirsi utili

di Andrea Dessardo

 

 

Il Rapporto giovani recentemente presentato dalla Fondazione Toniolo, realizzato con la collaborazione e il contributo dell’Università Cattolica, Cariplo e Intesa San Paolo, ci offre qualche spunto interessante e c’invita a immaginare il futuro con gli occhi di chi – i ragazzi tra i 18 e i 30 anni – s’è abituato a considerare la “crisi” un elemento stabile del suo orizzonte. Tra i temi indagati dal Rapporto, il lavoro, la felicità, le istituzioni, la famiglia, l’Europa, le figure di riferimento.

Cominciamo dalla felicità, una sensazione più che un dato, una percezione soggettiva. Ebbene, il 71,8% dei giovani si dice “molto” (12,3%) o “abbastanza” (58,6%) felice. È tanto? È poco? Il Rapporto la descrive acutamente come «felicità non ingenua», realista anche se, come vedremo, venata d’idealismo. Certo desta un po’ di preoccupazione quel 5% che si dice «per nulla» felice. Un dato residuale, forse, ma drammatico, anche perché individua nettamente che cosa in gran parte definisce la felicità.

Felicità è sentirsi utili e attivi: quelli che infatti stanno peggio sono i cosiddetti NEET, coloro che né studiano né lavorano, ben due milioni e mezzo di ragazzi in Italia. Di questi, solo il 59% si dice molto o abbastanza felice. “Fare”, dunque, anche al prezzo di tornare ai vecchi lavori manuali (almeno a parole): l’80% dei giovani infatti afferma che non disdegnerebbe un lavoro di questo tipo, anche l’operaio (6,9%) o l’agricoltore (7,7%), piuttosto che l’operatore di call center (3,5%) o il cameriere in un fast food (4,2%) o il distributore di pubblicità (1,5%). Va però notato che la disponibilità a lavorare manualmente è subordinata a certe condizioni: adeguata remunerazione, flessibilità d’orario, creatività. Perciò forse questa disponibilità è un po’ idealizzata. Si tenga tuttavia presente che il 55% ritiene d’avere scarse opportunità occupazionali e il 33% «limitate»; appena il 15% dei maschi ritiene d’avere prospettive lavorative adeguate alla propria preparazione, più pessimiste le ragazze (10%). Grave è che ancor oggi pesino le condizioni di partenza: il 90% dei giovani d’estrazione popolare veda scarse possibilità di trovare un lavoro soddisfacente, preoccupazione condivisa da appena il 20% dei coetanei benestanti. La grande maggioranza punta a raggiungere attorno ai 35 anni uno stipendio di circa 1500 euro, le ragazze sono più prudenti, solo il 17,9% di loro mira a qualcosa di più (26,1% tra i maschi). C’è cautela anche tra i laureati: il 45% dei maschi (e uno scarso 30% di femmine) aspira un giorno a guadagnare 2000 euro.

Non può dunque che essere negativo il giudizio sulla società e le istituzioni: nessuna raggiunge la sufficienza. Chi dà più fiducia sono le forze dell’ordine (voto 5), che ne dà meno, prevedibilmente, i partiti politici (voto 2,3); scuola e università sono seconde con il 4,6 mentre alla Chiesa cattolica danno 4 (sempre meglio dell’Unione europea e dei sindacati). Papa Francesco, benché sia riconosciuto come una figura credibile, non sembra aver contribuito a migliorare il giudizio dei giovani.

A questo sguardo così negativo sulla società s’oppone l’attaccamento alle relazioni. Il 70% considera la famiglia un pilastro essenziale della propria vita e addirittura il 67% la ritiene fondata sul matrimonio. Il 40% vorrebbe avere più di due figli, appena il 15% nessuno o uno al massimo, danaro permettendo. Anche in questo caso, infatti, i sogni si scontrano con la realtà: il 60% dei venticinque-trentenni vive ancora con i genitori e solo il 18% degli under 25 considera la possibilità di fare un figlio nei prossimi tre anni. Lo stereotipo dell’italiano mammone trova conferma: il 32,9% vede nella mamma la principale figura di riferimento, mentre assai in crisi sembra la figura paterna, che solo il 9,2% riconosce come quella che offre maggior sicurezza; solo il 14,4% vede nel/la fidanzato/a il proprio primo riferimento.

Per approfondire: rapportogiovani.it

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