Fino alla fine dei giorni

di Arturo Pucillo

 

Proseguendo la lettura dei diversi commenti alla cosiddetta «Brexit» (per inciso, neologismo inglese adottato alla solita maniera nauseabonda dagli italiani finanche nel contesto calcistico), mi sono imbattuto nella notizia che Nigel Farage, leader del partito/movimento britannico UKIP, da sempre favorevole alla Brexit e molto attivo nella propaganda precedente il referendum, ha rassegnato le proprie dimissioni dalla carica di responsabilità nel partito in seguito all’esito favorevole del quesito referendario: missione compiuta, ora posso ritirarmi a vita privata e godermi i risultati di questo enorme successo.

Allora con un esercizio di immaginazione mi sono raffigurato il Signore, 2000 anni or sono, subire l’atroce condanna, perdere la vita appeso ad una croce, discendere agli inferi, resuscitare il terzo giorno e poi… e poi incontrare i discepoli di Emmaus lungo la strada per Gerico, discorrere con loro sulla genealogia di Colui che essi non riconoscevano e, giunta la sera, al loro invito a condividere il desco assieme, rispondere: eh no, cari ragazzi, adesso io devo andare avanti, sono morto, sono risorto, ho compiuto la mia missione ma ora lasciatemi in pace con il Padre mio! E, comparendo infine ai discepoli impauriti, ripetere: ragazzi, sono stato bene con voi, ma fino ad un certo punto, ora la mia vita privata mi aspetta, non ho più tempo per voi e per il mondo. Voi, arrangiatevi.

No, sembra proprio che Nigel Farage non sarà con noi tutti i giorni, fino alla fine della Brexit. Al limite lo vedranno sorridere al Parlamento europeo, i cui emolumenti (in euro) si guarda bene dall’abbandonare. È un po’ come se Gesù scendesse di tanto in tanto dalla destra del Padre per andare a sghignazzare sbeffeggiando la plenaria del sinedrio e riportarsi nei Cieli quella trentina di denari al mese…

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