Impregnare di Vangelo

di Davide Martini

 

Verniciare od impregnare? Questo il leitmotiv dell’assemblea diocesana di Azione Cattolica (dal titolo La forza del passato, il coraggio del futuro. Stare in modo unico in una stagione unica) che ha avuto luogo domenica 28 febbraio presso il Seminario vescovile di via Besenghi. Nell’interrogativo iniziale consisteva il cuore della relazione del presidente diocesano Giovanni Grandi. E l’intervento di Giovanni voleva provare a rendere più chiaro l’invito del presidente nazionale Matteo Truffelli di “abitare” il nostro tempo così complesso in modo speciale, da cristiani (vedi il corsivo del sottotitolo dell’incontro). Per questo la riflessione si è concentrata secondo le parole del presidente: «Nell’analisi della nostra cultura, delle condizioni in cui ci chiede di giocare – se vogliamo partecipare e non essere spettatori urlanti ai margini del campo – e delle sue fragilità specifiche, di cui è importante farsi carico».

Questo tentativo non nasce a caso ma è frutto del Documento assembleare 2014, in cui ci si era posti l’obiettivo di riflettere, da laici adulti, anche su tematiche che interrogano in modo sempre più problematico la vita di noi cristiani associati. Qualcosa, ricorda Giovanni, è stato fatto (pensiamo all’incontro di approfondimento sulle DAT, Dichiarazioni Anticipate di Trattamento), ma poi ci si è fermati qui per varie ragioni; proviamo perciò a ripartire chiedendoci in che modo possiamo confrontarci con le nuove domande che la società ci pone difronte.

A questo proposito, Giovanni prende a prestito un oggetto a noi molto familiare e cioè una sedia di legno grezza appena assemblata in falegnameria. Per proteggerla dalle intemperie (tempo, agenti atmosferici, ecc…) si possono scegliere due opzioni; semplicemente verniciandola oppure dalle parole del prof. Grandi «trattandola con un impregnante che penetri in ogni fibra e in profondità, che è un po’ come dare al legno una nuova linfa, però più stabile e resistente». Questa metafora della sedia di legno ben si presta a rappresentare come si dovrebbe caratterizzare la nostra azione di laici cristiani associati nel mondo. Continua Giovanni: «La mobilitazione formativa, che punta sempre a favorire l’incontro personale con il Signore, ha come sbocco missionario quello di farci abitare da cristiani i luoghi ordinari della vita e di sostenerci nell’”impregnare dello spirito evangelico le varie comunità ed i vari ambienti”[1] (Art. 2)». Il Vangelo è un impregnante, non una vernice sulla vita. L’impregnare denota profondità, a differenza del verniciare che si occupa della superficie. In una società complessa ed articolata come la nostra, l’azione legislativa dello Stato non può essere intesa se non che come una “verniciatura”: la legge ha come obiettivo il tenere assieme situazioni anche molto diverse, ed è quindi naturale che non possa accontentare tutti. Per impregnare “evangelicamente” la nostra vita è necessario uno sforzo molto più impegnativo e costante nella vita di tutti i giorni, nella convinzione che vita e fede siano da considerarsi saldamente legate assieme. Perciò, per dirla in breve, non si può essere cristiani solo nelle piazze ed a corrente alternata. Si dice sempre che, come cristiani, saremo giudicati sul nostro comportamento nella vita di tutti i giorni; ancora di più in questo tempo nel quale le persone non si accontentano più semplicemente di obbedire ad un’autorità religiosa o laica che sia. In quest’ottica Giovanni ha citato Charles Taylor, uno dei maggiori studiosi del fenomeno della secolarizzazione che ha osservato che il cuore di questo processo epocale risiede nella cultura dell’autenticità, e l’ha definita così: «Con ciò intendo quella concezione della vita secondo cui ciascuno ha un modo specifico di realizzare la propria umanità e che è importante scoprire e vivere tale originalità, anziché conformarsi individualmente a un modello imposto dall’esterno, dalla società, dalle generazioni precedenti o dall’autorità religiosa o politica»[1].

La secolarizzazione perciò non presenta aspetti esclusivamente negativi, la difficoltà sta nello scegliere quali desideri è bene inseguire, perché non tutti sono buoni di per sé. E quale ruolo può avere un laico di AC in questo processo di discernimento? «Scegliere, sostiene Giovanni, innanzitutto di ripartire dalla tessitura di relazioni, versando goccia a goccia in quel contesto – spesso invisibile e nascosto – il buon impregnante del Vangelo».

A margine della relazione è seguito un interessante dibattito su come farsi carico di queste domande delle persone, auspicando una maggior “apertura” dei gruppi in un’ottica “missionaria”, ma allo stesso tempo ricercare una più profonda conoscenza di sé per mettere una distanza tra gli ordini che vengono dal di fuori ed i desideri con cui veniamo in contatto: ecco lo spazio per il discernimento, primo passo verso la conversione.

Infine Mario Ravalico ha presentato il libro su don Francesco Bonifacio, beato dell’Azione Cattolica con interessantissime testimonianze sulla storia del suo martirio e sul contesto in cui avvenne per comprendere anche dal punto di vista storico le complesse vicende del confine orientale.

C. Taylor, A secular age, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (Mass) – London (Eng) 2007; tr. it.: L’età secolare (2007), Feltrinelli, Milano 2009, p. 598.


«L’impegno dell’ACI, essenzialmente religioso apostolico, comprende la evangelizzazione, la santificazione degli uomini, la formazione cristiana delle loro coscienze in modo che riescano ad impregnare dello spirito evangelico le varie comunità ed i vari ambienti». Statuto AC, art. 2.

Torna in alto