La Commissione storica italo-slovena

di Raoul Pupo

 

Nellottobre del 1993 vennero costituite dai ministeri degli Esteri dItalia, Slovenia e Croazia due Commissioni miste storico-culturali, una italo-slovena ed una italo-croata. Era la conclusione di uniniziativa politica avviata tre anni prima, nel settembre 1990, quando il consiglio comunale di Trieste aveva votato allunanimità una mozione in cui si chiedeva la costituzione di una Commissione storica italo-jugoslava incaricata di far chiarezza sul problema delle foibe. Nel frattempo, la Jugoslavia era andata a gambe allaria, ma la trattativa non era abortita perché i tre governi avevano tutto linteresse a che la riscoperta delle zone oscure dei reciproci rapporti resa possibile dalla caduta del comunismo non divenisse pretesto per strumentalizzazioni politiche capaci di compromettere le relazioni fra i nuovi vicini.

Le due Commissioni hanno avuto sorte assai diversa. Quella italo-croata si è incagliata quasi subito e non si è mai capito perché, visto che non si era fatto in tempo a litigare. Quella italo-slovena invece ha lavorato intensamente ed alla fine, nellanno 2000, ha prodotto un Rapporto finale comune.

A tanti anni di distanza, è possibile forse valutare quellesperienza con una certa serenità.

Sul piano storiografico, la Commissione ha permesso un dialogo apertissimo su tutti i nodi dei rapporti bilaterali, superando le remore di natura ideologica e nazionale che in passato avevano condizionato le pur frequenti occasioni di collaborazione. La questione che potenzialmente sembrava più divaricante e che aveva dato il via a tutta loperazione, quella delle foibe, è stata risolta senza particolari difficoltà, perché fra i commissari vi erano storici italiani e sloveni che già lavoravano assieme sulle medesime fonti e quindi sintendevano piuttosto bene.

Molto più problematico invece, è stato raggiungere un consenso generale sui cosiddetti capisaldi interpretativiche la storiografia slovena aveva ereditato da quella jugoslava. Materia principale del contendere era una visione lineare del processo storico, stretta da cogenti nessi causa-effetto miranti allindividuazione della colpa primigeniadelle disgrazie novecentesche, vale a dire il fascismo. Progressivamente, il determinismo iniziale è stato abbandonato ed è stato possibile approdare ad una visione più articolata della dinamica storica. Detto in parole povere, è piuttosto ovvio che quel che viene prima influenzi quanto accade dopo, ma ciò non significa che tutto sia scontato. Ad esempio, analizzando le logiche della violenza alla metà degli anni Quaranta è facile scorgere un aspetto di rispostarispetto alle violenze del fascismo, nella Venezia Giulia come nei territori jugoslavi occupati dopo il 1941. Al tempo stesso, emerge evidente il peso della cultura della violenza rivoluzionaria e staliniana di cui era intriso il movimento di liberazione jugoslavo a guida comunista.

Bisognava poi fare i conti con una difficoltà strutturale, che spesso riemerge quando sul piano storico si parla di rapporti italo-sloveni. Da parte italiana la Venezia Giulia dallIsonzo fino al Quarnaro – è stata sempre considerata come una realtà unitaria e di conseguenza la storiografia italiana ha affrontato globalmente i problemi posti vuoi dalla politica fascista nei confronti delle popolazioni slave ivi residenti senza distinguere tra sloveni e croati vuoi più tardi dalla politica jugoslava nei confronti della componente italiana. Invece, la delegazione slovena era comprensibilmente concentrata sulla dimensione bilaterale e quindi, meno interessata alle dinamiche fra i governi italiano, asburgico e jugoslavo, nonché del tutto aliena dallaffrontare questioni come quella dellesodo che solo marginalmente hanno interessato il Litorale sloveno. Nel Rapporto finale il problema è stato aggirato con alcuni riferimenti di contesto, ma la criticità permane e può venir risolta soltanto con un approccio trilaterale integrato.

(foto di Luca Tedeschi)

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