L’Ac di Vicenza in cammino con don Francesco Bonifacio

di Caterina Pozzato

 

«In modo inatteso la figura di don Francesco ha messo in comunicazione generazioni diverse» afferma Giovanni Grandi nella prefazione al libro di Mario Ravalico su don Francesco Bonifacio pubblicato dall’AVE.

È successo proprio questo ai vicentini del campo mobile da Trieste a Crassiza sulle orme del beato Bonifacio.

Ventun persone dai trenta ai sessantasei anni hanno camminato fianco a fianco, accompagnati dai responsabili dell’Ac triestina – giovani, adulti, unitari – che li hanno aiutati con generosità, con cura e con passione ad incontrare il passato e il presente di una terra di confine dove l’intreccio di storie di culture diverse si respira nell’aria e si coglie negli accostamenti architettonici, una terra teatro di vicende drammatiche e di belle esperienze di fede.

Erik e sua moglie Paola ci hanno fatto incontrare la «scontrosa grazia» di Trieste, città mitteleuropea, crogiolo di esperienze culturali e religiose, come testimoniano le sue straordinarie chiese da San Giusto, la cattedrale dove don Francesco fu ordinato, la preziosa chiesa greco-ortodossa di San Nicolò, quella valdese (una delle più antiche della città) e la grande sinagoga, segni di una presenza vivace di popolazioni che il grande porto commerciale attirava. Con l’aiuto di Francesca ci hanno introdotti nel drammatico contesto storico che queste stesse popolazioni hanno vissuto tra l’armistizio del 1943 e i primi anni Cinquanta, contesto nel quale si situa anche la drammatica vicenda di don Francesco. Abbiamo avuto l’onore di apprezzare la cucina triestina cenando da “Libero” con Mario e con la presidenza diocesana guidata da Gianguido, e di condividere, l’indomani, un sobrio pasto nella sede giovane e accogliente dell’Ac di Trieste. Davvero un buon inizio, favoriti alche dal borino che ha fatto la sua comparsa al momento opportuno.

Passati a Muggia, accolti da don Andrea nella parrocchia dell’antica pieve, è stato compito del giovane Giulio, del consiglio diocesano triestino, guidarci lungo i meravigliosi sentieri, tra Slovenia e Croazia, sul lungomare e sulla Parenzana. Paesaggio stupendo, olivi e vigneti e abbondanza di piante da frutto; gente cordiale: vicentini, triestini e istroveneti parlano un’unica lingua. Ci siamo sentiti a casa, e non solo per la lingua. Come dimenticare la stupita curiosità delle persone semplici di Tribano, pronte a dialogare con gli ospiti del nuovo ostello, la vivacità della comunità italiana che ci ha ospitato a Buie con tutti gli onori, la disponibilità del parroco di Buie ad accoglierci nella chiesa di San Giorgio a Tribano e a raccontare la vita della sua gente e delle sue comunità?

Da Pirano, passando per Tribano, Buie, l’incantevole Grisignana fino a Crassiza, la parrocchia dove don Francesco ha svolto il suo prezioso ministero negli ultimi anni, dal 1939 alla morte, tappa per tappa, accompagnati da Mario e sua moglie, abbiamo conosciuto i luoghi della giovinezza, della formazione, della vocazione, del servizio pastorale e associativo, del martirio di don Francesco.

La narrazione appassionata di Mario e la bellezza dei luoghi hanno suscitato in noi una ricchezza di emozioni, sentimenti, stati d’animo. Colgo solo qualche risonanza tra le tante che abbiamo condiviso.

I tre verbi consegnatici dal Papa, rimanere, andare e gioire, sono la cifra della vita di don Francesco, che ha avuto il coraggio di rimanere nei suoi luoghi, lì dove era stato mandato, nonostante la consapevolezza del pericolo, è uscito per andare nelle contrade a cercare i ragazzi: se non venivano alla parrocchia di Crassiza per la lontananza, aveva lui cura di andare di luogo in luogo a fare catechismo. E tutto faceva sempre col sorriso.

E poi altri due verbi: custodire e portare frutto. Don Francesco ha sicuramente portato frutto, non solo in vita per le relazioni che ha saputo curare, l’attenzione alle giovani generazioni e l’impegno a far nascere e crescere circoli di Azione cattolica. A distanza di anni il suo sorriso è ancora vivo nella memoria di quanti lo hanno incontrato e la sua opera rivive nella passione di chi cerca con tenacia la verità. Ma sicuramente ha portato frutto perché ha custodito la fede, i ragazzi e i giovani, la sua Azione cattolica. Doveva crederci proprio tanto a quest’associazione. Ora il testimone passa a noi: noi dobbiamo portare frutti, saporiti, si spera, come quelli delle piante istriane, noi siamo chiamati a custodire come uomini e come cristiani la bellezza del territorio in cui viviamo, le persone, specialmente i più piccoli e i più fragili, le relazioni. «Non c’è qualità di persone che possa venir esclusa dal nostro amore» dice don Francesco nell’ultima omelia pochi giorni prima del martirio.

Ecco un’altra risonanza: il gruppo che, alla guida di Stefano, ha preparato il campo, e poi tutti i partecipanti, hanno fatto pratica di alta sartoria, direbbe Filippo, «sartoria delle relazioni».