Let’s tweet again!

di Arturo Pucillo

 

Tempi duri per l’informazione. Ciò che viene offerto dai media tradizionali (carta stampata, volti televisivi, studi futuristi e musiche d’avanguardia) spesso, sempre più spesso, risponde alla logica delle “fake news”, raccolto dove capita e catapultato in faccia all’utente che, passivamente e inconsciamente, ne assorbe il messaggio. Manca l’etica del controllo intermedio (saranno media per qualcosa?), stritolata dalla velocità di rappresentazione che mantiene alta la tensione narrativa della realtà contingente, di qualunque realtà e di qualunque narrazione si tratti. Non c’è più il tempo di verificare, chi prima arriva ha vinto la tappa e il concorrente mangia la polvere, anche se alla fine la racconta più giusta. Per cercare un po’ di verità spicciola allora si naviga nel tempestoso mare dei social media, dove l’intermediazione delle notizie diventa sociale, condivisa, “come una freccia dall’arco scocca, vola veloce di bocca in bocca”; a stare attenti e perderci qualche ora di sonno, si può intercettare l’origine veritiera di una notizia prima che imbocchi la strada forzosa che la modificherà e ingigantirà spesso a scapito della verità. Twitter mi è sempre sembrato un buon mezzo, con un limite: la rete di relazioni virtuali, che connette soggetti anche molto distanti fisicamente, è soggetta alla legge del Samaritano: “di chi sei il prossimo? Chi è il tuo prossimo?”. Tipicamente, è chi ti piace, chi ti somiglia. Concordi con ciò che dico? Mi segui, ti seguo. Non concordi o ti senti attaccato da me? “Click”, non esisti più. Silenziato, fuori dalla mia rete, respingo ciò che dici e l’intermediazione che mi offri non la considero verità. I farisei scelgono i farisei, gli alternativi scelgono gli alternativi, i neofascisti scelgono i neofascisti… e i cristiani? Qui arriva un punto dolente. Stratificando comportamenti, atteggiamenti, reti relazionali virtuali degli utenti di Twitter, possiamo dire che i cristiani si distinguono per allargare il più possibile la cerchia di contatti? Cosa fanno per mantenere aperta la porta col prossimo? C’è uno stile riconoscibile dietro il quale si intraveda il Vangelo (non parlo di baci ai rosari, naturalmente)? Ho sotto gli occhi alcuni esempi, cito don Dino Pirri (@dDinoPirri), perché è stato assistente nazionale ACR ed ha un modo paterno, materno e fraterno di stare su Twitter, e ne coglie i frutti evidenti negli scambi con molte persone; penso a Rosy Russo (@rositauau), nostra aderente triestina, che lavora nel silenzio della porta accanto ad un grande progetto, Parole_O_stili, che cristianamente evangelizza il linguaggio accogliendo come evangelizzatori i soggetti stessi dell’evangelizzazione. Sono solo due nomi che mi vengono in mente, ma ce ne sono diversi altri. Laici e sacerdoti, a noi cristiani cattolici è chiesto un esercizio supplementare di apertura anche laddove è più acuta la tentazione di circondarsi di persone affini (la cosiddetta “comfort zone”) mentre si tratta di un luogo in cui centro e periferia, vicino e lontano, grande e piccolo, forte e debole, fragile e forte (o diversamente fragile) hanno l’opportunità di incontrarsi. Vado subito a cominciare!