Nella Chiesa, per il mondo. Cronache dal Convegno nazionale presidenti e assistenti, Bologna

di Gianguido Salvi

 

«Vi precede in Galilea» (Mt 28,7): era il titolo del convegno ed è l’invito, proprio in chiusura del Vangelo di Marco, a ricominciare dall’inizio, dai luoghi in cui Gesù avvia la sua predicazione e in cui l’evangelista lo ritrae. Quasi a suggerirci che nel cammino della vita cristiana approfondire significa sempre anche ricominciare da capo, perché il Signore ha in ogni tempo qualcosa di altro e di nuovo da suggerirci.

L’idea di un cammino chiamato a rinnovarsi «in Galilea» nella fedeltà al Signore e alla Chiesa l’ha trasmessa con finezza l’assistente generale mons. Gualtiero Sigismondi, con un intervento solo apparentemente proiettato all’interno della comunità cristiana, sul discernimento visto come «esercizio alto di sinodalità». Si parla spesso di comunione, più o meno vissuta, dentro la Chiesa. Ma se san Giovanni Crisostomo afferma che «Chiesa e sinodo sono sinonimi», mons. Sigismondi rilancia e dice che «la sinodalità esprime il mistero della Chiesa come comunione». Le sue realizzazioni storiche, spesso confuse con la collegialità, non sono state sempre soddisfacenti e tutt’ora la forma più alta e concreta di dinamica sinodale, cioè il discernimento, stenta a diffondersi nelle nostre comunità.

La capacità di discernere, cioè di “vedere distintamente”, non si improvvisa ma si apprende; è un atto di intelligenza spirituale che consente di conoscere la volontà di Dio e di «operare ciò che a Lui è gradito» (cfr. Eb 13,21).

Un passaggio significativo e sorprendente dell’intervento del vescovo è l’osservare che il discernimento comunitario non precede l’azione ecclesiale, ma è frutto del paziente cammino di verifica e richiede una inesauribile disponibilità alla conversione. Citando il discorso di papa Francesco ad una assemblea del Sinodo dei vescovi, richiama la parresìa (cioè la franchezza) e l’umiltà come atteggiamenti fondamentali per l’esercizio della sinodalità. E il vescovo scandisce le tappe del discernimento nella comunità cristiana citando, tra virgolette, famosi passaggi dell’Evangelii gaudium:

1. Stimare gli altri superiori a se stessi, gareggiando nello stimarsi a vicenda;

2. Saper nutrire un po’ di diffidenza verso il proprio giudizio;

3. Trovare soluzioni condivise tendendo al massimo bene possibile e non al minimo indispensabile;

4. Coniugare analisi e sintesi: non basta utilizzare il microscopio ma anche il telescopio, perché «il tutto è più importante della parte»;

5. Riconoscere che l’individuazione dei fini da sola non basta senza i mezzi concreti per raggiungerli, poiché «la realtà è superiore all’idea»;

6. Avere memoria del futuro interpretando i “sogni” degli anziani e le “visioni” dei giovani senza cedere alla nostalgia e all’utopia, perché entrambe soffocano la profezia;

7. Avviare processi a lunga scadenza, senza lascirsi superare dall’ossessione dei risultati immediati, poiché «il tempo è sempre superiore allo spazio»;

8. Imparare a tendere l’orecchio alla Parola di Dio e a sentire il polso del tempo;

9. Vivere il confronto tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo, tenendo insieme dottrina e pastorale;

10. Avere la serena consapevolezza che «tutto concorre al bene».

Alcuni dei punti di questo “decalogo” sono già radicati nelle nostre coscienze e nelle nostre vite, perché attingono direttamente alla Scrittura o alla Tradizione della Chiesa o al fresco e dinamico magistero dell’attuale Pontefice.

Ma letti in dimensione comunitaria, fanno riflettere. Sono i tasselli della via per un’educazione permanente al discernimento, che mons. Sigismondi definisce «cifra fondamentale dell’agire pastorale».

La Chiesa può compiere la sua missione nel mondo solo se tutti, pastori e fedeli, si impegnano con questo stile a scrutare i segni dei tempi.

E questa concreta sinodalità ci mette di fronte al mondo con i piedi ben piantati nella realtà, ma con la consapevolezza di non esserci da soli.

Prende dunque nuova profondità anche il nostro essere associazione, il nostro lavorare da laici per la costruzione del Regno. Assume un colore più vivido e maggior nitidezza anche la “scelta religiosa”, come cifra del nostro stare nella Chiesa e nel mondo. Quando l’ha compiuta, più di quarant’anni fa, l’Azione cattolica non intendeva affatto “ritirarsi” dal mondo, ma al contrario voleva aiutare in modo più efficace «i cristiani a vivere la loro vita di fede in una concreta situazione storica, ad essere “anima del mondo”, cioè fermento, seme positivo per la salvezza ultima, ma anche servizio di carità non solo nei rapporti personali, ma nella costruzione di una città comune in cui ci siano meno poveri, meno oppressi, meno gente che ha fame» (V. Bachelet, Azione cattolica e impegno politico, 1973).

Invitati dunque ad andare in Galilea, dove il Signore già ci attende: lì i problemi saranno ancora una volta diversi e mai affrontati. Con le parole di Ferruccio de Bortoli (in un recente intervento a Spello) saremo chiamati a «ridare sostanza a un senso di cittadinanza inaridito da nuove forme di egoismo e di individualismo… Bisogna parlarsi e trovare nuovi piani di compromesso e non altri motivi di divisione. Riprodurre una rete di solidarietà sociale che, grazie alla forza del volontariato, può rappresentare una nuova forma di economia sociale e partecipata. Impegnarsi a rinnovare il tessuto dei corpi intermedi della società senza i quali non vi è comunità e forse, in prospettiva, nemmeno democrazia».

E ci saremo.