Pio XII, Salvini e il valore della complessità

di Lorenzo Klun

 

Il 2 marzo 2020 verranno aperti alla consultazione gli archivi vaticani relativi al pontificato di Pio XII, il papa della seconda guerra mondiale. L’ha annunciato alcune settimane fa Papa Francesco, il quale ha poi commentato: “Assumo questa decisione con animo sereno e fiducioso, sicuro che la seria e obiettiva ricerca storica saprà valutare nella sua giusta luce, con appropriata critica, momenti di esaltazione di quel Pontefice e, senza dubbio, anche momenti di gravi difficoltà, di tormentate decisioni, di umana e cristiana prudenza”.

 

Per i meno informati, il pontificato di Pio XII è stato soggetto a molte controversie a causa della linea che il Vaticano portò avanti nei confronti del nazifascismo prima e durante la seconda guerra mondiale. Ad essergli rimproverata è stata soprattutto l’assenza di condanne esplicite nei confronti dei regimi fascisti. A motivare tale atteggiamento ci potrebbe essere stata la volontà, da parte del Papa, di proteggere i cittadini; in particolare le centinaia di ebrei italiani a cui sarebbero stati forniti dei falsi attestati di battesimo. In questo modo si sarebbero quindi salvate molte vite. È proprio per poter aggiungere qualche tassello a questo mosaico pieno di interrogativi che l’apertura degli archivi pontifici potrebbe risultare utile.

Così, nonostante qualche giornale, all’indomani dell’annuncio, titolasse “Ormai è inutile aprirli [gli archivi]”, la notizia potrebbe riscuotere l’interesse anche dei non addetti ai lavori. Per quale ragione?

10 febbraio 2019. Il Ministro dell’Interno Matteo Salvini, in visita alla foiba di Basovizza per il Giorno del Ricordo, durante il discorso conclusivo dichiara “Le gocce che scendono [oggi] uniscono i bimbi morti ad Auschwitz e i bimbi morti a Basovizza. Non ci sono martiri di serie A e martiri di serie B”, scatenando numerose polemiche. Se sulla seconda affermazione non si possono avere obiezioni, lo stesso discorso non vale certamente per la prima.

Infatti il dolore di una perdita non è mai misurabile e non esistono atrocità più atroci di altre. Ciascuna tragedia resta sempre tale, e per non rischiare di cadere nel benaltrismo non la si può sminuire nel mero calcolo matematico delle vittime.

Ciò che però non va fatto, anche e soprattutto per rispetto dei caduti, è passare sopra ai fatti storici. Le legittime appartenenze politiche, ideologiche o identitarie hanno un solo limite di espressione: i fatti. Qualunque posizione politica si voglia sostenere, non si può eludere la verità. E la verità è che, mentre sono numerosi i casi provati di bambini che nei campi di concentramento hanno trovato la morte, su casi provati di bambini ritrovati nelle foibe il dubbio resta. Questo non nega il dolore di coloro che nelle foibe ci sono morti, né dei loro cari, ma ci riporta dalle opinioni alla verità storica. È forse poco?

 

La decisione di Papa Francesco va quindi controcorrente rispetto ad una tendenza diffusa: tirare la coperta della storia dalla propria parte, senza verificare con il giusto approfondimento che ciò corrisponda a verità.

Per scongiurare la polarizzazione e le inevitabili fake news sugli eventi passati, è necessario che la ricerca storica indaghi con l’utilizzo di tutte le fonti a cui riesce ad accedere, smarcandosi da influenze ideologiche ed evitando il gioco degli equilibri, ma rendendo onore al solo equilibrio possibile: quello della verità, che racchiude in sé molte esperienze, ma non si riduce in nessuna di esse.

La parola chiave è complessità.

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