Religione o religene?

di Arturo Pucillo

Molto di recente mi è capitato di leggere un approfondimento dalle pagine virtuali de “Il Piccolo”, a firma di Mauro Giacca, relativo ad alcune ricerche pubblicate su “Nature”. Tali ricerche sono state effettuate per trovare una radice biologica al bisogno intrinseco di religiosità presente nella famiglia umana. Studiando otto diverse comunità, praticanti diverse religioni (tra cui il cristianesimo), emerge che le persone credenti delle religioni che “predicano” un «dio moralizzatore (ovvero preoccupato della distinzione tra bene e male), onnisciente (che conosce pensieri e azioni) e punitivo (capace di inferire dolore)» sono «molto più disposte ad aiutare, anche economicamente, uno straniero, a patto però che questi appartenga al medesimo culto». Un’altra ricerca, presentata su “Current Biology”, ha valutato il comportamento di 1100 bambini provenienti da sei Paesi, di diversa professione religiosa (anche non credenti), da cui emerge che «l’essere religiosi correla in maniera inversa con l’altruismo e va invece di pari passo con l’istinto punitivo». In sintesi, l’autore conclude che questi comportamenti sono determinati sì dal contesto socio-educativo ma anche dal Dna (è indicata anche la variante di un gene potenzialmente responsabile di ciò). Ciò che mi colpisce è che, pensando al Dio rivelato da Cristo, inscritto nelle nostre coscienze, non vedo spazio per comportamenti come quelli rilevati nelle ricerche. Allora, delle due l’una: o i ricercatori hanno in realtà omesso di considerare i cristiani (sostenere che il “nostro” Dio è punitivo mi sembra quanto meno un azzardo), annacquandoli in altre religioni, oppure i cristiani intervistati lo sono solo a parole. Ai posteri l’ardua sentenza. «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra [Lc 18,8]»? O troverà solo una sequenza genetica viziata da una cattiva religiosità?

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