Ricordi di una bambina di Villa Gardossi

di Ede Dubaz

 

Vorrei ringraziarvi per l’invito e dirvi che sono molto emozionata di essere qui tra di voi.

Ho preparato una paginetta che vi leggerò per potervi raccontare i miei ricordi, quelli di una bambina che ha conosciuto don Francesco e che molto tempo fa ha fatto parte dell’Azione cattolica come voi, e posso dirvi che è stata un’esperienza di vita e di fede felicissima.

Era quasi ottant’anni fa e vivevo a Villa Gardossi (l’attuale Crassiza).

A quel tempo la vita era molto semplice, era la normale vita di un piccolo villaggio, con le sue piccole frazioni che non erano altro che famiglie sparse nella campagna.

C’era una scuola con il maestro Massenzio e sua moglie Carlotta, un ufficio postale della signora Bianca che sapeva gli affari di tutti, la fermata della corriera, il piccolo negozio, una sala dove ci si incontrava per le feste e i balli, l’immancabile osteria.

E c’era la piccola chiesa con il suo grande campanile.

Lì, in quella chiesa, a un certo punto, è arrivato un prete, giovane, umile e pieno di iniziativa: don Francesco.

Avevo dieci anni, ero una bambina piccola, curiosa e attenta, e ho il ricordo di un prete gentile, delicato, che a volte capitava a casa nostra, alla sera, per un semplice saluto, per una buona notte a noi bambini che eravamo attorno al focolare acceso. Lo vedevamo apparire dal fondo della stanza poco illuminata, con la sua veste nera e con il suo sorriso, dolce.

Da subito l’intera comunità si è raccolta attorno a lui e lo ha sostenuto nelle sue iniziative, soprattutto nelle attività dell’Azione cattolica rivolte a noi giovani.

Ci ha accolto, ci ha uniti in momenti di preghiera, di impegno e anche di svago.

Lo seguivamo sempre contenti.

Con lui tutte le cose sembravano tanto semplici e tanto speciali.

All’interno dell’Azione cattolica ognuno aveva dei compiti assegnati per età e per capacità.

Io, come aspirante, insegnavo alle “beniamine” le preghierine; poi, assieme ad una mia amica, distribuivo tra le famiglie i santini; partecipavo alla vita della chiesa, alle celebrazioni delle messe, al coro, anche se stonata.

Giocavamo assieme a lui a “tocca bandiera” attorno alla chiesa e facevamo tanti altri giochi. Per me era bellissimo, questo era il nostro divertimento. Succedeva, poi, che ad un certo punto ci diceva sorridendo «prima il dovere, poi il piacere» e ci riportava il pensiero al Signore con una preghiera.

Eravamo tanti giovani e tutti entusiasti.

Sembrava che don Francesco fosse lì per noi.

Ci chiedeva di rispettare quanto ci insegnava.

In cambio ci regalava le sue attenzioni, il suo impegno, i suoi pensieri.

Ci faceva sentire importanti, che facevamo parte della sua vita, come lui è rimasto parte della nostra.

È stato un punto di riferimento, è stato la nostra occasione di crescita, la scintilla della nostra fede.

Questo l’ho compreso dopo, quando tutto si è disperso, quando quel punto di riferimento è stato portato via solo perché non voleva arrendersi, andarsene e abbandonarci.

L’ho capito dopo, quando avevamo paura di farci il segno della croce davanti al capitello sulla strada, come don Francesco ci aveva insegnato.

È per questo che non deve essere dimenticato.

È per questo che la sua storia deve essere raccontata soprattutto ai giovani che lui ha tanto aiutato e amato.

Io cerco di fare del mio meglio e, per quanto posso, cerco di partecipare agli incontri sulla figura di don Francesco ai quali il signor Ravalico mi invita con tanto affetto.

Sono orgogliosa di far parte del gruppo «Amici di don Francesco» e partecipo agli incontri di preghiera con gioia. È un incontro mensile dove ritornano le parole delle omelie, dei pensieri di don Francesco.

Mi emoziono sempre quando penso che sono le sue parole, le stesse che lui ha detto durante le funzioni, negli incontri con noi, nella nostra chiesetta di campagna.

È un impegno per me importante perché devo molto a don Francesco; grazie a lui ho la fede, che mi ha accompagnato in tutti i momenti della mia vita, belli e meno belli, e so che sarà così per sempre.

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