Ricostruire oggi, nella Chiesa, nella società, nel territorio

di Erik Moratto

 

 

Domenica 9 ottobre si è svolto a Gemona il convegno interdiocesano Adulti su Ricostruire oggi. Nella Chiesa, nella società, nel territorio organizzato dalle quattro presidenze dell’Azione cattolica del Friuli Venezia Giulia.

Dopo un breve ma caloroso saluto dell’arcivescovo di Udine mons. Mazzocato, il moderatore prof. Giovanni Grandi ha introdotto l’intervento del prof. Roberto Mancini, docente di Filosofia teoretica all’Università di Macerata.

Allacciandosi al tema dei terremoti, il prof. Mancini ha subito iniziato chiarendo che i terremoti non sono punizioni di Dio, ma momenti di crisi che mettono l’uomo davanti alla scelta di prendere le proprie responsabilità davanti alla natura e alla società. Queste però non sono, come spesso si crede, qualcosa di esterno all’uomo, ma coesistono come due elementi fondanti, che creano l’uomo nella sua sostanza di relazione. Quest’ultima può essere “antisismica” – stabilita su basi solide, adeguate, vere – oppure inesistente a causa dell’egoismo.

Davanti a una società basata sulle leggi del mercato per cui il denaro è strumento di potere e l’uomo e i politici sono schiavi dell’economia, il vero nemico non è il terremoto, ma l’ignoranza interna, l’incapacità di vivere “la vita buona”, di andare oltre al semplice sopravvivere quotidiano.

Ne emerge una società divisa, in cui la falsa realizzazione di sé stessi ha come obiettivo il dominio sull’altro, secondo la logica del potere del più forte che deve sempre lottare per la propria superiorità. L’uomo è condizionato dall’illusione del potersi salvare da solo, dalla paura di perdere i propri beni nelle relazioni, dal ricercare competizione e conflitto carichi di distruttività.

La crisi viene vista da uno spettatore rassegnato come un “qualcosa che passa”, e non come una sana sosta critica, dove non si cambia per inerzia ma si inizia una vera e propria trasformazione, che dall’interno genera un impulso d’amore verso il prossimo.

Secondo Mancini è evidente che l’essere umano oggigiorno è una risorsa da sfruttare utile all’economia. Quando ne cessa l’utilità, l’uomo diventa scarto. L’amore reciproco invece apprende anche dagli scarti. Infatti, nel vedere in certi aspetti della nostra interiorità, riusciamo ad apprendere e migliorare, cosa non possibile oggi, dove il giudizio sull’altro e su noi stessi domina.

Il rapporto storico in cui il padre comanda e ha potere sul figlio è riproposto da un cuore nuovo, dove il padre convertito cerca una relazione d’accoglienza verso un figlio in ricerca. Nasce quindi una relazione viva negli affetti capace di far vivere in noi le persone scomparse tramite l’affetto che ancor oggi suscitano in noi. Al contrario, laddove l’uomo rifiuta la relazione d’amore, siamo davanti a un essere in vita ma già morto dentro o, peggio ancora, mai nato.

Il vero cristiano riconosce in Gesù di Nazareth il seme della relazione d’amore, e si lascia trasformare, sprigionando poi questo amore nella società, distinguendosi quindi visibilmente, senza bisogno di mendicare l’amore perché è già consapevole di essere un figlio amato.

Ne consegue che la misericordia è capace di guarire le ferite, rispondendo al male con il bene. Infatti non c’è condanna o giustizia, ma un cammino di crescita sostenuto da chi accompagna tramite la presenza, la fedeltà, l’accoglienza.

Si tratta quindi di un sentimento autentico, un frutto generativo, antisismico, grazie alla potenza dell’amore del Padre, a cui ognuno di noi può attingere. Per farlo basta aprire le porte del cuore e lasciarlo lavorare: è a prova di terremoto!