Testimoni fedeli delle nostre terre: misericordia e perdono

di Giulio Bartoli

 

Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato.

Così YHWH si rivela a Mosè nel libro dell’Esodo: un Dio che non soltanto esiste e dà esistenza, ma ama. Questo amore non è un semplice sentimento, ma si manifesta con azioni potenti a favore di Israele, in un progetto di salvezza che si compie definitivamente con Cristo. Con questa chiara riflessione teologica don Antonio Bortuzzo ha concluso due incontri che si sono tenuti durante il mese di gennaio presso gli ambienti del Circolo della Stampa in cui sono state presentate le figure di cinque sacerdoti che hanno testimoniato con molte sofferenze e spesso con la propria morte la misericordia di Dio verso gli uomini. La testimonianza di questi uomini, ha infatti continuato don Antonio, dimostra chiaramente che la misericordia non è qualcosa che si sente, ma si fa – e mai da soli, ma sempre con qualcuno che la dona e qualcuno che si lascia misericordiare.

La prima figura di perdono è stata quella del beato Francesco Bonifacio, presentato con le parole di Erik Moratto, ideatore assieme ad altri giovani di un cammino che congiunge tutti i luoghi legati alla vita del beato. Erik ha ricordato come probabilmente sia stato rapito dagli uomini della guardia popolare a causa del suo apostolato a favore dei giovani, che li sottraeva al controllo del regime. Secondo gli atti del processo di beatificazione, per tre volte chiese perdono a Dio per sé e per i propri persecutori, senza rispondere agli insulti e alle violenze, ma usando le ultime forze per segnarsi con la croce dopo essere stato colpito a morte con una pietra.

Don Luka Pranjić, parroco di Cittanova (Novigrad), ha quindi ricordato il grande numero di sacerdoti, più di seicento, che in Croazia sono morti con l’avvento del regime comunista: un numero superiore a quello di tutti gli altri paesi con regimi comunisti al termine della seconda guerra mondiale. Tra costoro la figura più nota fu quella del beato cardinal Alojzije Stepinac: ma nelle nostre terre diffusa è anche la devozione per il beato Miroslav Bulešić, ucciso a Lanischie (Lanišće) dopo aver accompagnato per l’amministrazione delle cresime monsignor Ukmar. Don Miroslav, noto per non fare distinzione di nazionalità, aveva scritto nel suo diario: «La mia vendetta è il perdono».

La biografia di don Jakob Ukmar è stata quindi esposta da Tomaž Simčič, che ne ha sottolineato la capacità di riconciliazione e perdono, anche ben prima dell’aggressione di Lanischie. Ad esempio quando a San Giuseppe della Chiusa (Ricmanje) dovette adattarsi a una situazione di forte contestazione da parte dei fedeli, dovuta al divieto, prescritto dalle autorità ecclesiali, di celebrare la messa in glagolitico.

Su don Marcello Labor ha parlato mons. Vittorio Cian, postulatore per la causa di beatificazione: ricordandolo come rettore del seminario di Capodistria, ne ha fatto emergere il ruolo paterno per tutti i seminaristi. Ha ricordato le persecuzioni subite prima dai nazisti per l’origine ebraica, e poi dai comunisti per il suo essere prete, tutte sopportate con fortezza.

Infine frate Placido Cortese, ricordato da Ivo Jevnikar: la figura di un mite frate nato a Cherso e vissuto a Padova presso la basilica del Santo, valente direttore del «Messaggero di sant’Antonio», che non voleva interessarsi di politica ma che, conosciute le difficili condizioni dei prigionieri del campo di Chiesanuova, prima cercò di aiutarli e poi intessé una rete clandestina per salvare ebrei e altri ricercati, specie croati e sloveni, poiché ne conosceva la lingua. Tradito da un infiltrato, venne arrestato e portato a Trieste dove rimase rinchiuso nelle celle di piazza Oberdan: sottoposto a tortura non rivelò nessun nome, ma continuò a pregare fino a quando non venne ucciso e cremato probabilmente in Risiera.

Una breve introduzione storica alle relazioni è stata curata dal professor Raoul Pupo che ha evidenziato come, dopo la presa del potere da parte del partito comunista jugoslavo, la persecuzione ha riguardato tutti i nemici del popolo, cioè tutti coloro che non appoggiavano gli obiettivi e i metodi del partito (annessione alla Jugoslavia, avvento del comunismo), italiani o slavi che fossero.

Nel secondo incontro, infine, Mario Ravalico ha voluto ricordare, perché vicine alla storia di Trieste, anche le figure del vescovo di Lubiana mons. Anton Vouk, ustionato in un’aggressione a Novo Mesto; Ivo Proturipac, presidente di Ac in Croazia, che dopo la guerra si prodigava da Trieste per assistere i connazionali in fuga, assassinato da un agente dell’OZNA a Trieste nel 1946; e don Giuseppe Gabana, cappellano militare che operò a favore degli ebrei, assassinato in circostanze non chiare nell’immediato dopoguerra: storie vicine, di persone che in anni difficili, dove la violenza e l’odio dominavano, sono stati capaci di testimoniare, a prezzo di sofferenze e della vita, la misericordia e il perdono di Dio.

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