Un’altra cosa

di Arturo Pucillo

 

A volte ritornano.

Nel pigro sfogliare riviste e quotidiani online, mi sono imbattuto nell’articolo a firma di Silvio Brachetta Ma CL di Giussani era un’altra cosa. Intervista a mons. Negri sul sito web del settimanale diocesano «Vita Nuova».

Si parla degli amici di Cl, stavolta, e non direttamente dell’Ac, anche se la nostra associazione è il convitato di pietra nelle argomentazioni dell’autore. Pietra dello scandalo, a quanto pare, su cui l’Ac sarebbe tempo fa inciampata, è la scelta religiosa. Scelta in cui ora sarebbe inciampata anche Cl, e che coinciderebbe fatalmente con

1) l’obbligo (testualmente: «dovere») di testimoniare Gesù Cristo solo all’interno delle chiese e di dissimulare la propria identità cristiana;

2) l’iperdialogismo con la società;

3) lo spegnimento dell’Azione cattolica (e quindi di Cl) nel vaniloquio interiore, e svariati altri reati minori.

Come ogni cristiano che riceve uno schiaffo, oltre a porgere l’altra guancia, cerco di capirci qualcosa in più.

Dal chiuso della sacrestia in cui Vittorio Bachelet mi ha confinato, da dove «mi parean di sego, in quella bella casa del Signore, fin le candele dell’altar maggiore», mi metto nei panni di un giovane educatore dell’Acr, che mentre intravede la luce filtrare dalle vetrate laterali cerca «ragioni e motivi di questa vita»: che strumento ho a disposizione per capire la scelta religiosa in cui sono precipitato? Mi cade l’occhio sulla guida per l’educatore, in particolare sulle tre basi che generano lo spazio dell’educazione in Acr: liturgia, catechesi e carità (guarda caso, le stesse che fondano la vita di ogni comunità cristiana).

Dalla sacrestia alla navata di sinistra il passo è breve. Progetto Ac e Guide propongono la centralità del celebrare, in particolar modo l’Eucarestia. Ho in memoria un latinorum che dice «fons et culmen». Saranno parole riferite al battistero e alla volta della navata, a che altro?

E la catechesi? Di una cosa sono certo: anche quella si fa ben rintanati nelle sale parrocchiali; scopro però dal Progetto formativo che si tratta di partire dalla vita dei ragazzi per tornare alla vita dei ragazzi, passando per il confronto tra di loro, con testimoni, con la Parola, nella celebrazione, nella preghiera e nell’impegno davanti a Dio… Ma i ragazzi della scelta religiosa hanno una vita fuori dalle sale parrocchiali?

Infine il boccone più grosso, difficile da digerire per me che mangio solo pizzette dopo messa in salone parrocchiale: la dimensione della carità. Ah, il buon vecchio cestino tintinnante della domenica. La questua, precisava un parrocchiano ben informato. Qui nei testi proprio non ci siamo. Sotto “carità” l’Ac pretende di mostrare ai ragazzi il volto missionario della Chiesa attraverso momenti di studio, animazione e servizio alle comunità al di fuori della parrocchia, in città, in paese, tra piazza e campanile, per lasciar germogliare la passione civile che in tanti aderenti ha visto accendere l’impegno in politica, nell’amministrazione, nella scuola, nell’università, nelle agorà dei diversi luoghi di lavoro. Questo è inaccettabile.

Come possono Progetto formativo e Guide di Ac proporre cose così “estranee” alla «scelta religiosa»? E soprattutto: chi, in Ac, vittima della scelta religiosa, può aver scritto in questi termini, con questo respiro, una guida per l’educatore e un Progetto formativo?

A questa domanda mi do una sola risposta: la scelta religiosa targata Ac è un’altra cosa… se rispetto a Brachetta o a Bachelet, liberi di scegliere.

Ora devo andare. Comunque ci si vede tutti in sacrestia, eh.

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