Natale 2020

di Andrea Dessardo

Nonostante i ventun parametri predisposti dal comitato tecnico-scientifico per assicurare agli italiani di trascorrere il Natale in sicurezza, ma senza rinunciare alla socialità, è bastato far passare in tv le immagini dello shopping nelle vie principali di Roma e Milano per farci ripiombare tutti sotto la cappa plumbea del lockdown, facendoci pure la morale:

siamo costretti a rinchiudervi, perché da soli non siete abbastanza responsabili, non vorremmo che si ripresentasse la stessa situazione di questa estate… 

Posto che la “seconda ondata” ha raggiunto il suo massimo diverse settimane dopo la fine dell’estate, e che dunque non mi pare si possano inferire diretti legami causali tra l’una e l’altra, io ancora mi domando in quali esecrabili crapule sarebbero incorsi gli italiani nella bella stagione al punto da meritarsi di essere trattati così anche a Natale, privati delle più elementari libertà di disporre del proprio tempo, del vedere chi si vuole, dell’andare dove si desidera senza dover render conto a nessuno, tanto meno alla violenza burocratica di uno Stato sempre Leviatano. Esso non si limita più, infatti, all’amministrazione e alla gestione della cosa pubblica ma, per contrastare l’epidemia, sembra sempre più pericolosamente esorbitare nel campo morale: sicché, diversamente da quanto ci si dovrebbe aspettare in una democrazia liberale, esso – per giustificare regole sempre più bizantine e drammaticamente poco efficaci – s’avventura in giudizi morali che non gli competono, dettando misure di comportamento che dovrebbero ridefinire la nostra socialità, invece di lasciare tali decisioni alla nostra coscienza personale. Così il portare la mascherina, per fare un esempio, non viene più presentato come una semplice prescrizione sanitaria, ma come un gesto di responsabilità verso gli altri, persino come un atto d’amore; prescindendo dal fatto che non vi è alcuna prova che l’uso della mascherina all’aperto sia effettivamente di qualche utilità, e che dunque imporlo sia un abuso di potere, per altro esercitato per via amministrativa al di fuori di ogni prassi democratica, farlo passare per virtù civile è il primo passo verso lo Stato etico ossia, in altri termini, verso il totalitarismo: non è più sufficiente rispettare la  legge per essere buoni cittadini, si pretende invece che in essa si creda, la si introietti, se ne faccia un codice di condotta morale. Quando a marzo la gente si trovava la sera sui balconi per cantare insieme e augurarsi “andrà tutto bene”, mi parve di vedere i giovani che partivano cantando per la guerra nel maggio 1915: la stessa incoscienza e la stessa esaltazione collettiva, mentre si andava incontro alla rovina. E se allora la Chiesa si era spinta a benedire i cannoni e le mitragliatrici, oggi purtroppo s’adegua e si fa obbediente alle parole d’ordine di un potere tanto secolarizzato quanto ottuso, rinunciando a proporsi come un’alternativa in cui sperare. 

Che non stia andando affatto bene lo testimoniano i numeri della demografia e dell’economia: la pietosa bugia del “modello italiano” è ormai definitivamente crollata e rivela come il nostro paese abbia conseguito i peggiori risultati sia nel contenimento del contagio, sia nella difesa del suo sistema economico, sacrificato senza predisporre alcun serio piano di salvataggio: manifesta è l’inadeguatezza del ministro Gualtieri, che ad aprile, con il paese sostanzialmente fermo, annunciava uno scostamento di bilancio di appena 3,6 miliardi; io, che di economia non capisco quasi niente, mi stupii del suo incomprensibile ottimismo. Oggi, dopo ben quattro scostamenti, i miliardi di debito aggiuntivo sono già 108, sfilacciati però in una serie di misure estemporanee e prive di visione complessiva (il bonus monopattini, vacanze, cashback, numerosi decreti ristori…) che non sembrano in grado di mettere al sicuro le tante piccole imprese che sono impossibilitate a lavorare. 

Nonostante si siano raccolti tutti questi soldi sui mercati finanziari senza grossi sforzi, tuttavia, il governo ha cavalcato la narrazione messianica dei 209 miliardi del Recovery plan europeo (Next generation EU), cui esso si è issato come il barone di Münchhausen al suo codino: se anziché affidarsi a esso, le cui condizioni rimangono ancora largamente misteriose, ci si fosse mossi con maggiore autonomia, forse oggi staremmo meglio. La narrazione europeista, in cui noi cattolici abbiamo tanto creduto, sta purtroppo rivelando la sua natura ideologica, dietro la quale sta un preciso piano politico, piuttosto che un’azione di solidarietà economica: sarebbe bene finalmente relativizzarla, mostrando per esempio come di questi 209 fantomatici miliardi, solo 84 siano “a fondo perduto” e perciò non soggetti a restituzione; e comunque attinti dal bilancio europeo al quale anche l’Italia partecipa, e finora sempre quale contribuente netto, cioè rimettendoci più di quanto riceva. Tali denari che ci verrebbero dati a prestito, inoltre, saranno soggetti a rigide condizioni che, oltre ad aumentare le complicazioni burocratiche, dirigeranno la nostra politica industriale per alcuni decenni, non necessariamente nel nostro immediato interesse. 

E così abbiamo celebrato questo Natale chiusi in casa, lontani dai nostri cari, più poveri, più insicuri, meno liberi, aspettando il vaccino come una promessa escatologica. Auguri a tutti i lettori, sperando nella resipiscenza di chi ci governa e in un sussulto di dignità in chi accetta di farsi governare a condizioni tanto umilianti.

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