Buone notizie dall’Europa

di Davide Martini

 

Che l’Europa, al momento, non goda di buona reputazione è cosa risaputa. Ma come è possibile che un Paese come il nostro tra i più europeisti fino a non molto tempo fa, sia ora tiepido, per non dire apertamente ostile, per una sempre più ampia fascia della popolazione? A questo ha certamente contribuito la crisi finanziaria del 2007-2008 e la convinzione (veritiera?) che le istituzioni europee poco abbiano fatto per cercare di migliorare tale situazione. C’è da aggiungere, poi, che l’Europa viene vista, da molti cittadini, come distante dai problemi concreti delle persone e, sempre più, una burocrate elefantiaca, costosa ed inefficiente.

Eppure motivi per non essere così pessimisti ce ne sarebbero. Eccome. Innanzitutto, facciamo fatica, umanamente, ad avere una prospettiva storica un poco più grande del nostro tempo presente: diamo, ormai, tutto per scontato; il benessere acquisito (certo, per chi ce l’ha ancora), dimenticando che la situazione qualche decennio fa non era poi tanto migliore (chi scrive è nato negli anni settanta, quando l’inflazione era a doppia cifra, tanto per citare un solo esempio) per non dover retrocedere alla prima metà del secolo scorso, tempo nel quale non solo i libri di storia ma anche nonni e bisnonni ci ricordavano tempi tragici. Ma se la manfrina che la costruzione europea ha impedito la terza guerra mondiale non ci convince più (e, vivendo a Trieste, dovremmo ricordare cosa è stata la guerra civile in Jugoslavia, allora fuori dall’Unione Europea), basterebbe ricordare com’era viaggiare all’interno del continente, coi passaporti e la fila al cambio valute. Sappiamo bene che la propaganda ha sempre un obiettivo strumentale ed utilitaristico: pubblicizzare, enfatizzandole, informazioni atte all’esclusivo fine di orientare l’opinione pubblica in una direzione favorevole al proprio pensiero politico. In più, le buone notizie hanno meno impatto delle altre; infine la naturale tendenza del genere umano a lamentarsi (in particolar modo di quello abituato ad un certo tenore di vita), fanno sì che non facciamo più attenzione alle buone cose che questa costruzione sovranazionale ha contribuito e continua a portare avanti.

Facciamo qualche altro esempio non troppo generico e lontano dal presente. Partiamo da una notizia: la Commissione, tempo fa, ha reso nota la lista degli Stati che saranno deferiti alla Corte di Giustizia per inadempienze varie rispetto alle norme europee. In Italia si è parlato quasi solo del deferimento dell’Italia per i sistematici e cronici ritardi dei pagamenti della Pubblica Amministrazione. Le aziende che forniscono beni e servizi alla Pubblica Amministrazione dovrebbero essere contente che, grazie al ricorso della Commissione, potranno finalmente ottenere in futuro in tempi più ragionevoli il proprio compenso. Questo è un piccolo esempio che ci ricorda come noi italiani abbiamo bisogno della Commissione per difendere i nostri diritti (di cittadini europei) nei confronti dello Stato italiano. Pochi, forse, ricordano che la Commissione ha deferito, tempo addietro, la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca per il rifiuto di accogliere i rifugiati provenienti da Italia e Grecia, sebbene non siano mancati i titoloni sul tema quando si trattava di denunciare la scarsa solidarietà europea – in realtà la solidarietà dell’Unione c’era, dato che aveva deciso le quote di ripartizione, mancava quella di alcuni Stati membri, che ora vengono sanzionati per questo. Direte che non basta. Quanti però ricordano il deferimento dell’Irlanda perché non ha ancora provveduto a incassare i 13 miliardi di imposte dovute da Apple, sulla base della decisione dell’Antitrust europea – cioè sempre la Commissione – rispetto ai benefici fiscali illegalmente concessi dall’Irlanda in passato. La lotta contro i privilegi fiscali delle multi-nazionali oggi la fa soprattutto l’Unione Europea attraverso la Commissione. C’è poi la sanzione all’Ungheria per le norme contro le università internazionali, che prendevano in particolare di mira la Central European University, una delle più prestigiose università europee, fondata e finanziata, secondo Orban, da George Soros ( in passato speculatore, ma ora filantropo finanziatore di Ong impegnate a favore dei migranti). Ci sono poi molti altri casi, tra cui il deferimento di Francia e Germania per la mancata piena applicazione delle norme sul riconoscimento delle qualifiche professionali, a testimonianza che la Commissione non fa differenza tra Stati grandi e piccoli, ma agisce per far rispettare le regole europee. Solo per citare alcuni esempi.

Certo, Eurozona ed Unione vanno riformate, per rilanciare crescita e occupazione ed affrontare le nuove sfide geopolitiche che, in questo contesto di globalizzazione, non possono essere affrontate dai Paesi europei isolatamente; perciò tra due settimane, quando andrete a votare, ricordatevi anche delle cose positive dell’Europa e di che cosa è stata Brexit. Buone riflessioni.

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