Dare a Xi quel che è di Xi?

di Lorenzo Klun

 

Hong Kong. Sei mesi in piazza, con picchi di 2.000.000 di persone secondo gli organizzatori, 338.000 secondo la polizia. Il motivo delle proteste? Il disegno di legge sull’estradizione, che avrebbe permesso alla Cina di spostare prigionieri da Hong Kong al resto della Repubblica Popolare Cinese (RPC).

Da quel lontano 9 giugno 2019 la situazione è molto cambiata. A dover gestire la situazione è stata la governatrice Carrie Lam, da molti considerata troppo vicina a Pechino. Dopo diversi ‘tira e molla”, il 4 settembre la governatrice ha ritirato il disegno di legge incriminato, affossato definitivamente il 24 ottobre. Ma questo non è bastato. Ormai era troppo poco, e troppo tardi”.

La composizione di coloro che sono scesi in piazza è molto eterogenea. Importante la componente cristiana. Dei 7 mln di abitanti di Hong Kong, solo il 12% sono cristiani (dei quali il 42% cattolici). Sembrerebbe poco, ma la loro presenza nella vita educativa, sociale e politica supera di molto le percentuali.

La Chiesa cattolica è presente nell’ex colonia britannica dalle prime missioni di evangelizzazione di metà ‘800. Ad oggi gestisce circa 300 istituti scolastici appartenenti ad ogni livello, svolgendo un ruolo primario nell’istruzione dei giovani hongkonghesi. La Caritas non è da meno: è la più grande organizzazione sociale della città. E infine la reputazione della Chiesa di Hong Kong, a differenza di quanto successo negli ultimi anni in molte parti del mondo, non è stata macchiata da scandali di abusi su minori. Ciò spiega il grande rispetto suscitato da questa nella popolazione.

Se non si può marciare, si può sempre pregare. Così, quando una manifestazione programmata per il 15 settembre non ha ottenuto i necessari permessi, è subentrato il vescovo emerito. L’87enne cardinale Joseph Zen Ze – Kiun da anni definito la  “coscienza di Hong Kong ha annunciato tramite Facebook che quel giorno avrebbe condotto un pellegrinaggio attraverso tre chiese cittadine, fermandosi a pregare in ciascuna di esse. Per qualche strana coincidenza le tre chiese si trovavano lungo il percorso negato ai manifestanti. Nel suo pellegrinaggio si sono unite a lui in preghiera centinaia di persone. A pregare nella terza tappa (San Giuseppe) erano migliaia di fedeli. Fedeli che al termine della preghiera sono stati dispersi dai lacrimogeni della polizia.

Ma questo è solo un esempio di come i cristiani siano stati presenti nelle proteste. Sono cristiani anche Joshua Wong (protestante) e Agnes Chow (cattolica), leader della rivoluzione degli ombrelli del 2014. Sono cristiani 3 dei 4 personaggi che il 19 agosto 2019 l’agenzia ufficiale Nuova Cina ha disegnato come nuova “Banda dei Quattro, considerandoli responsabili dei disordini a Hong Kong. Ed era  Sing Alleluiah to the Lord l’inno ufficioso delle proteste, prima che venisse scritto l’ufficiale Glory to Hong Kong. Si tratta di fatto di un movimento ecumenico.

Stranamente, ma non troppo, è cattolica anche la governatrice Carrie Lam. In realtà questo è proprio uno dei motivi che ha spinto Pechino a farla eleggere: per gestire Hong Kong, è necessario avere buoni rapporti con le gerarchie e il popolo cristiano. E lei sembrava averli. Era, per esempio, grande amica del vescovo Michael Yeing Ming-cheung, morto lo scorso gennaio e non ancora sostituito.

 

E il Vaticano? Al momento tace. Non sono state rilasciate dichiarazioni sulle proteste. Ad influire forse anche l’accordo provvisorio siglato tra Vaticano e Cina il 22 settembre 2018, con cui si è trovata una bozza di risoluzione alla decennale questione della ‘lotta per le investiture’ in salsa cinese.

In quell’incontro è stata restituita al Pontefice l’autorità di decidere per quanto riguarda i vescovi cinesi. D’altra parte è stato riconosciuto un ruolo fondamentale, nel processo decisionale, al clero cinese e a Pechino.

Come comunicato al tempo dalla nota rilasciata dalla Sala Stampa vaticana, «al fine di sostenere l’annuncio del Vangelo in Cina», papa Francesco ha deciso «di riammettere nella piena comunione ecclesiale anche i rimanenti vescovi “ufficiali” ordinati senza mandato pontificio».

La domanda che resta aperta è se questo accordo trovi applicazione anche ad Hong Kong. La risposta più probabile è che in teoria no, ma in pratica non si sa. Fatto sta che Roma aspetta l’evolversi della situazione, e per il momento il seggio vacante è affidato all’amministratore apostolico John Tong, che invita entrambe sia Pechino che i manifestanti al dialogo (senza negare qualche critica alla gestione cinese delle proteste).

 

Le chiese hongkonghesi sembrano quindi più vive che mai. E se non tutti i cristiani sono contrari al presidente Xi Jinping, sembra proprio che una buona parte sia reticente a “dare a Xi quel che è di Xi”. O almeno non prima di aver ottenuto qualche diritto in più.