Gaudete et Exsultate

di Giovanni Grandi

 

Gaudete et Exsultate è l’incipit dell’Esortazione Apostolica di papa Francesco, pubblicata il 19 marzo scorso, non «un trattato sulla santità» ma un aiuto per far «risuonare la chiamata alla santità», si legge nelle prime righe (n. 2).

E mentre scrivo “si legge”, un po’ preparandomi a stendere una piccola recensione di quelle che si farebbero a commento di un trattato, mi accorgo che in questo caso l’impersonale è del tutto fuori luogo, pur avendo sempre funzionato nel presentare i documenti “maggiori” licenziati dai papi. Che fossero Encicliche o Esortazioni, lo stile magisteriale era sempre ugualmente didascalico e distaccato e le recensioni potevano allinearsi pedissequamente.
Invece questa volta papa Francesco, fin dalle prime battute, mi costringe fare un immediato ripasso a proposito dei generi letterari: già, perché un’esortazione ha di tipico che chi parla cerca da subito il contatto diretto con i propri interlocutori e lo fa a partire dal dichiarare il proprio coinvolgimento affettivo. E Francesco inizia con un «mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente» (n. 7) e prosegue assicurandomi che è con me che intende fermarsi a riflettere di santità, di «quella chiamata che (il Signore) rivolge anche a te» (n. 10). Mi fermo, e mentre mi viene in mente in modo irriverente il manifesto di Montgomery Flagg del 1917 – ve lo ricordate il celebre Zio Sam con l’indice puntato? – ho già capito di dover rinunciare a fare la classica recensione illustrativa. «Lascia che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità» (n. 15) prosegue Francesco, e la voce allarmata che dentro di me protesta «Accidenti, ma sta parlando con me?» viene definitivamente spiazzata dalla diagnosi sorniona del papa: «Anche tu hai bisogno di concepire la totalità della tua vita come una missione» (n. 23).
Eccoci, mi ha beccato. Adesso può propormi anche un’aspirapolvere, che tanto comunque lo ascolterò fino alla fine.
Mi accorgo di aver incontrato, forse per la prima volta, un’Esortazione che è proprio un’esortazione.
Intendiamoci, anche Evangelii Gaudium lo è. Ma qui appena si affaccia qualche novità letteraria, compare la prima persona singolare («Invito ogni cristiano…», n. 3, «Ho scelto di proporre alcune linee», n. 17; un irrituale «Mi sono dilungato in questi temi…», nr 18, al n. 27 addirittura un «Sogno…») e in tutti i passaggi che chiamano all’impegno compare la prima persona plurale: è la Chiesa, il Popolo nato nel battesimo, che per voce autorevole del papa richiama tutto se stesso ai propri impegni. È un “noi” popolare insomma, non certo un “Noi” plurale maiestatis, quello di chi – vivendo o presumendo di poter vivere in un distaccato cielo empireo – richiama altri parlando di sé in prima persona plurale o in terza singolare.
Anche Amoris Laetitia è una Esortazione, naturalmente. E qui il “noi” di popolo ormai domina la riflessione, come mai avevamo sentito in precedenza. Incontrare quelle pagine è, per un battezzato, sentirsi Chiesa, riconoscersi in un corpo attraversato da interrogativi e paure, ma proprio per questo vivo, in costante lotta con quell’amore per la quadratura di ogni cerchio che papa Francesco chiama gnosticismo. In lotta con la tentazione del dominio e del controllo pervasivo, perché come il papa mi ricorda ancora proprio in Gaudete et Exultate, «è tipico degli gnostici credere che con le loro spiegazioni possono rendere perfettamente comprensibili tutta la fede e tutto il Vangelo. Assolutizzano le proprie teorie e obbligano gli altri a sottomettersi ai propri ragionamenti. Una cosa è un sano e umile uso della ragione per riflettere sull’insegnamento teologico e morale del Vangelo; altra cosa è pretendere di ridurre l’insegnamento di Gesù a una logica fredda e dura che cerca di dominare tutto» (n. 39).
Spiazzato dalla novità, sono tornato alle pagine di Christifideles Laici (era il 30 dicembre 1988): contenuti notevoli, rispetto a cui una recensione in stile “si legge che…” sarebbe stata perfetta. Ma, dopo Gaudete et Exultate, confesso che faccio fatica a riconoscerla nel genere “Esortazione”. E non è – intendiamoci – una questione di tempi che cambiano e di modernismi, perché gli studi di retorica esistono da ben prima che i cristiani iniziassero a scrivere i loro documenti e lo stile parenetico o esortativo era ben distinto da quello dimostrativo.
Dunque mi correggo: mi ha spiazzato una novità di stile che… non è affatto una novità. Considero ancora una volta che papa Francesco non sta stravolgendo alcunché: sta solo pazientemente restituendo persino alle parole il loro significato. Per chi è cresciuto sentendo chiamare “esortazione” qualcosa che era molto più simile a un “trattato sistematico” è chiaro che la terra sembra tremare sotto i piedi: leggere un papa che quasi sembra accomodarsi accanto a te in cucina per scambiare due parole a tu per tu è indubbiamente inconsueto. E sarei tentato di dire che no, che così non si scrive, che questa non è un’Esortazione apostolica ma un cedimento alle mode comunicative romanzesche contemporanee, perché da che mondo è mondo i papi non hanno scritto esortazioni in questo modo.
Già, da che mondo è mondo… E se questa presunta “tradizione” in effetti coincidesse semplicemente con l’arco di tempo breve della mia vita, in cui ho potuto leggere solo (interessanti e preziosi) “trattati” chiamandoli “esortazioni”?
Forse dovremmo davvero allenarci leggere la storia con uno sguardo più lungo, evitando di dare per scontato che quel che abbiamo incontrato nel breve tempo che abbiamo immediatamente alle nostre spalle e di cui abbiamo personale esperienza coincida in tutto e per tutto con la “tradizione”.
E magari leggere un’Esortazione scritta in stile esortativo potrà esserci di aiuto.