Il cammino dell’Assemblea sulle orme di papa Francesco

di Luigi Russo

 

 

Credo di non poter tenere separata la mia esperienza di presidente diocesano nel triennio 1989-92, e protrattasi per un breve periodo in quello successivo, dai sei anni di vicepresidente del Settore Adulti che l’hanno preceduta. Questo perché la mia adesione all’Azione cattolica inizia con la mia nomina a vicepresidente del Settore Adulti (con allegato, insieme a mia moglie Renata, di titolare dell’Ufficio Famiglia di Ac, come richiesto dal vescovo). Mi sono così gradualmente inserito nell’Associazione di cui non conoscevo molto, provenendo da un cammino di congregato mariano con i gesuiti e da un’esperienza di pastorale familiare che ha avuto il suo momento forte nella partecipazione a Roma nel 1979 al Convegno nazionale su Evangelizzazione e promozione umana della famiglia.

Credo che sia interessante raccontare i progetti che ho cercato di portare avanti insieme agli altri membri della presidenza, in particolare con la presenza discreta ma fondamentale degli assistenti, che ringrazio tutti, nei nove anni in cui ho vissuto incarichi di responsabilità a livello diocesano, i vari stati d’animo, l’entusiasmo e la delusione, i successi e i fallimenti, le amicizie e le ostilità.

Vi devo confessare che sono stati anni esaltanti nei quali ho vissuto il mio impegno con grande entusiasmo (di buon auspicio è stata la nascita di mio figlio Matteo il giorno stesso dell’assemblea elettiva del 12 gennaio 1982) e ne ho tratto una crescita spirituale ed umana molto forte. Ho acquistato la piena consapevolezza dell’essere al servizio di Dio e della società, attraverso quell’impegno che solo l’Ac come associazione si assume nel servire la Chiesa in ogni sua dimensione (parrocchiale, locale, italiana, mondiale).

E il servizio più impegnativo e significativo, anche se difficile e “scomodo”, è stato quello di cercare di seguire le indicazioni e le manifestazioni profetiche di alcuni grandi attori della vita ecclesiale di quegli anni, da papa Giovanni Paolo II e mons. Bello, al nostro vescovo Bellomi con il quale ho collaborato in tutti quegli anni. Da lui ho imparato che avere il coraggio delle proprie idee, fino a sporcarsi le mani per seguire l’esempio del Signore Gesù Cristo, alle volte porta sofferenze, ma sicuramente dà anche la soddisfazione di essere coerenti nel vivere la propria fede fino in fondo.

È stato infatti il suo esempio, in primis la firma del documento Beati i costruttori di pace, oggetto di scandalo per parte della Curia romana, che ci ha portato insieme a lui a predicare e a testimoniare il nostro anelito alla pace nelle vie della città, insieme con associazioni e partiti, superando la paura di essere strumentalizzati. Per anni siamo stati testimoni al servizio della pace, coordinandoci con altre associazioni religiose e laiche per organizzare le marce della pace lungo le vie della città, alla fine coinvolgendo anche i non credenti nella partecipazione alla messa per la Giornata della pace da noi organizzata ogni primo gennaio. Soprattutto all’inizio siamo stati criticati per avere, noi e il vescovo, partecipato a manifestazioni promosse anche dal Partito comunista.

E per difendere anche la pace sociale, sempre insieme a mons. Bellomi abbiamo manifestato davanti alla Regione con i sindacati, con gli operai e gli impiegati per difendere i posti di lavoro della Ferriera.

Il richiamo continuo ad un impegno per la pace nel mondo, che ha visto anche protagonista l’Acr con le sue marce cittadine di bambini (non solo di Ac), ha voluto essere anche di appoggio al Papa, unica voce in quegli anni a condannare qualsiasi tipo di violenza e di guerra per risolvere i problemi dei popoli. Oltre alle marce e alle messe abbiamo organizzato veglie di preghiera con il coinvolgimento di altre associazioni (vittime di Tien An Men, Guerra del Golfo…).

La nostra attenzione, come associazione, si è focalizzata – per offrire una formazione globale ai laici aderenti – oltre ai già radicati impegni per la crescita religiosa e spirituale, anche al sociale con una serie di iniziative che tendevano ad interessare tutti i credenti della diocesi su temi di grande interesse per la città, quali gli anziani (attraverso un concorso nelle scuole), la tavola rotonda sulla sanità a Trieste, la sensibilizzazione della cittadinanza al tema della vita nella Giornata per la Vita con la presenza di banchetti nei punti strategici della città. Abbiamo partecipato alla costituzione di un centro di ascolto della politica per un corretto scambio biunivoco di informazioni e proposte fra politici e aderenti alle associazioni e ai movimenti.

All’interno della Chiesa siamo stati sempre presenti all’organizzazione delle Giornate pastorali, cercando di assumere un ruolo di coordinamento con le altre associazioni e i movimenti cattolici presenti sul territorio. Abbiamo offerto alla diocesi i nostri percorsi di formazione per animatori e responsabili. Siamo riusciti, anche se con molti sforzi, discussioni e, alle volte, anche incomprensioni, a creare un clima di comunione di finalità, di criteri e di stile.

Oltre ai classici settori (Adulti, Giovani e Acr) si è voluto dare particolare rilievo all’attività – si direbbe oggi, con linguaggio politico – sul territorio. Infatti il Movimento studenti ha conosciuto il suo momento di splendore con l’istituzione dei gruppi d’istituto nelle scuole. Delegata regionale è diventata Chiara Sancin (in seguito sarà eletta segretaria nazionale), mentre Francesco Russo è stato eletto al Consiglio nazionale del Movimento diventandone anche collaboratore centrale a Roma.

La Fuci mostrò un certo risveglio e venne rifondato sia il Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale), sia il Mieac (già Movimento maestri). Nasce anche il Mlac (Movimento lavoratori di Azione cattolica). L’ufficio famiglia rilancia l’attività formativa delle famiglie con la creazione di schede ad hoc, coinvolgendo anche i genitori dei ragazzi dell’Acr e del Msac.

Viene accentuata la presenza della presidenza a supporto delle associazioni parrocchiali, ma purtroppo gli interventi sono insufficienti a colmare tutte le esigenze.

Da ultimo, la creazione di un bollettino diocesano mensile – «Ac Proposta» -, inviato a tutti gli aderenti con le notizie più importanti dell’attività associativa, nonché notizie della vita della Chiesa e della società.

Penso che, seppure lentamente, in nove anni siamo riusciti a superare, anche se non del tutto, il concetto di scelta religiosa come esclusiva concentrazione del lavoro sulla formazione spirituale e religiosa contrapposta ad ogni impegno di carattere sociale. La scelta religiosa, come concepita originalmente da Vittorio Bachelet, aveva avuto lo scopo di superare il collateralismo fra l’Associazione e il partito della Democrazia cristiana e aveva riportato l’Ac a ricercare un cammino che portasse i laici ad una formazione globale (curando quindi anche la formazione in campo sociale). Si era voluto ripristinare i rispettivi ruoli. L’Azione cattolica non è chiamata a fare direttamente politica, ma a formare laici cristiani adulti preparati anche a fare a livello personale politica attiva. La politica infatti per il laico «è la più alta forma di carità» (Paolo VI).

Altri risultati raggiunti: una presenza significativa dell’Azione cattolica sui problemi più importanti della città, un maggiore scambio di informazioni fra Centro diocesano e associazioni parrocchiali sulle attività svolte, nonché fra i vari Settori e Movimenti, la funzione assunta con autorevolezza di coordinamento delle altre associazioni e movimenti nelle attività pastorali più significative della diocesi.

A livello personale ho vissuto tanti momenti di comunione sia all’interno che all’esterno dell’Associazione, in particolare con gli altri membri della presidenza e con gli assistenti, anche se il mio rammarico è stato quello di non avere potuto offrire tutto il tempo che mi veniva richiesto per un impegno così coinvolgente a causa del mio lavoro all’interno di una compagnia di assicurazioni. Soprattutto i giovani, che pure hanno spesso reclamato maggiore autonomia, hanno risentito di una mia ridotta presenza al loro fianco. È stata questa la ragione per cui non mi sono ricandidato come presidente per un secondo triennio, ben conscio che avrei dedicato ancora meno tempo all’Associazione.

Rivedendo con uno sguardo più oggettivo e ormai da storico (sono passati venticinque anni da quando ho lasciato la presidenza) il periodo del mio impegno in Centro diocesano, ricordo l’entusiasmo e la soddisfazione che ne ho tratto come responsabile, con momenti di gioia per i risultati raggiunti, di sofferenza per aver partecipato a momenti di crisi sia a livello nazionale che locale, ma alla fine conscio di avere contribuito ad una crescita dell’Ac e degli aderenti.

Ora tocca ad altri, che con coraggio devono accettare le sfide della guida dell’Associazione, sapendo che la storia dell’Ac triestina e l’esperienza di chi ha “già dato” li aiuteranno, ma soprattutto sapendo di rispondere a quella che è una chiamata del Signore.

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