In Ricordo di Franco Marini

Mi pare importante ricordare una figura scomparsa in questi giorni: Franco Marini. Sui giornali e più ancora sui social, si è scritto parecchio di lui ricordandolo soprattutto come un politico e uomo di stato.

Infatti, agli inizi degli anni ’90, egli è stato deputato al Parlamento, poi nel 1999 deputato al Parlamento europeo. Successivamente, nel 2006 venne eletto senatore della Repubblica e Presidente del Senato (la seconda carica dello Stato). Ma, dopo la fine del mandato di Giorgio Napolitano, venne ipotizzato come candidato alla responsabilità più alta: quella dei Presidente della Repubblica, anche se poi questa ipotesi non si concretizzò. 

Ma a me piace ricordare l’amico Franco sotto un’altra angolatura, quella più personale nata nel mondo sindacale della CISL, nella quale egli militò giovanissimo, già prima di laurearsi, occupandosi di vertenze e contratti, un campo che gli rimarrà sempre caro. Formatosi a fianco del suo grande maestro, Giulio Pastore, il fondatore della CISL,  ma prima ancora formatosi nelle file dell’Azione cattolica, o meglio della GIAC, nella quale militò sin da giovane, aveva una grande capacità di ascolto dell’altro, qualunque egli fosse, di dialogo con tutti, e di grande capacità di mediazione, di fare sintesi, mai compromessi. La sua bussola era proprio quell’importante bagaglio culturale e di vita che gli avevano insegnato i maestri/formatori del Sindacato: Mario Romani, proRettore all’Università Cattolica di Milano ai tempi del rettore Giuseppe Lazzati e Vincenzo Saba, maestri di molte generazioni di giovani sindacalisti.

Franco Marini l’ho conosciuto alla Cisl Trieste, già a metà degli anni ’70, in occasione di una delle sue tante venute qui. Spesso arrivava alla vigilia dei congressi del sindacato, per aiutare a fare sintesi, secondo il suo stile, in situazioni di accesi dibattiti: il tema sull’unità sindacale organica tra le tre grandi organizzazioni, la CGIL comunista, la UIL socialista, e la CISL di ispirazione cristiana, aveva lasciato profonde divisioni interne ed anche ferite che rimasero per lungo tempo. In quelle circostanze, Marini mostrava la sua capacità  di tessere con pazienza deboli fili, relazioni che sembravano impossibili, soprattutto  riusciva con il suo sano realismo a vedere oltre, dando speranza e prospettiva. 

E mi piace ricordare di Franco Marini qualche fatto molto semplice, personale, quando, in una delle sue tante venute a Trieste, in un giorno di forte bora, di quella che talvolta supera i 100 chilometri all’ora, per noi normale ma per lui incredulo di fronte a tanta violenza, alla quale non era certamente abituato, mi chiese di accompagnarlo a comprare un berretto per ripararsi. Acquistò un basco; e anni dopo, a Roma, rividi Franco con quello stesso berretto che, lui montanaro, abituato a resistere al freddo, continuava invece a portare sul capo. 

Un altro ricordo di lui è quello di quando, al termine di una lunga ed estenuante riunione alla CISL di Trieste alla quale Franco aveva presenziato, mi chiese di accompagnarlo ad acquistare una canna da pesca, completa di tutto l’occorrente, perché voleva fare un regalo a suo figlio – allora aveva 8 o 9 anni – a cui era pazzamente legato, avendolo avuto dopo diversi anni di matrimonio. 

Ma c’è un terzo ricordo di Franco Marini, tra tanti altri che mi rimangono di lui, simpaticissimo ed insieme umanissimo. Ero arrivato al mattino presto, assieme ad altri amici, in una sala a Roma dove si doveva svolgere un congresso del sindacato elettrici della CISL. Era previsto anche un intervento di Franco Marini, allora segretario nazionale della CISL. Tra i primissimi, vidi arrivare un signore, modesto all’apparenza, un po’ avanti con gli anni, che così a prima vista non mi sembrava potesse essere uno dei congressisti. Poi, un po’ titubante, lo avvicinai e gli chiesi se forse aspettava qualcuno. Quell’uomo, con grande semplicità e con altrettanto grande sorriso sulle labbra mi rispose, più o meno così: “Sì, sto aspettando il signor Franco Marini; sono suo padre e non ci vediamo di frequente dato che lui è molto impegnato. Per questo sono venuto io a salutarlo”. Veniva da un paesino montano, in provincia de l’Aquila, san Pio delle Camere, dove Franco Marini era nato, primo tra molti tra fratelli e sorelle. E poi, all’arrivo di questi, un lungo e prolungato abbraccio. 

Ma c’è un ultimo ricordo di Marini a Trieste, che voglio far presente. Eravamo all’indomani della data di applicazione degli Accordi di Osimo che sancivano, sul piano del diritto, la cessione di gran parte dei territori della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Di fatto, l’assegnazione a quest’ultima, era già avvenuta. A Trieste, gli animi erano in subbuglio, la città divisa, a livello politico un vero sconvolgimento. Al Teatro Rossetti, nei primi mesi del 1978, venne organizzata una tavola rotonda con l’intento di spiegare alla città il contenuto di quegli accordi e, soprattutto le opportunità che l’applicazione dell’allegato agli accordi (si parlava di una zona che avrebbe dovuto nascere a cavallo del confine) avrebbe potuto dare in termini di sviluppo economico ed occupazionale. Vi parteciparono l’on. Corrado Belci, che era stato relatore in parlamento della legge sugli accordi di Osimo, padre Bartolomeo Sorge, allora direttore di Civiltà Cattolica e, appunto, Franco Marini. Una gran confusione, fuori e dentro il teatro, era difficile prendere la parola, soprattutto per il primo degli oratori. Anche p. Sorge ebbe diverse difficoltà a farsi ascoltare tanto che, dalla sala, in suo aiuto, ci fu il generoso tentativo di intervenire di Riccardo Camber, allora presidente dei laureati cattolici, per cercare di calmare gli animi. E in parte ci riuscì. Da ultimo ci fu l’intervento di Marini, ma le presenze in sala ormai erano di molto diminuite: parecchi, delusi, se ne erano andati prima della conclusione della manifestazione. E Marini non riuscì a svolgere completamente la sua riflessione; di questo ne fu molto amareggiato anche perché in quel momento non comprese le profonde ragioni di quella situazione, che poi, con calma, alcuni di noi provarono a spiegargli.

In anni successivi, quando il mio impegno sindacale mi portò a Roma, i contatti con Franco Marini furono parecchi, fino a quando, lasciati tutti gli impegni nel sindacato, la sua attenzione si rivolse alla politica, candidandosi per il Parlamento. Ma l’amicizia con lui, nelle ormai rare occasioni che si presentarono, rimase tutta.

Trieste, 11 febbraio 2021

Mario Ravalico

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