La guerra in Siria e la crisi dei rifugiati: interesse, interessi

di Giulio Bartoli

 

Perché cominciare dalla Siria e non dal Maghreb per sbrogliare la matassa geopolitica all’origine dei flussi migratori che ci stanno mettendo in crisi? Non è un fatto scontato, perché gli interessi italiani sono molto più coinvolti nel flusso dall’Africa subsahariana che nella rotta balcanica… Ma viviamo in una città che guarda altrove rispetto all’Italia, e si vede anche nel nostro interesse, manifestato dalle nostre domande: questa è stata una delle riflessioni di padre Larivera all’ultimo incontro del gruppo FUCI a maggio scorso. Incontro diretto, non formale, attorno a un tavolo della sede di via Diaz, aperto a giovani universitari interessati ad approfondire il tema dei migranti con uno dei giornalisti che collaborano con «La Civiltà cattolica» per gli argomenti geopolitici.

Proprio degli interessi che si legano a un determinato territorio (per le sue caratteristiche fisiche e sociali) si occupa la geopolitica: e partendo proprio da questi interessi padre Larivera ha iniziato a descrivere la situazione siriana, che alimenta un’area di instabilità da cui provengono gran parte dei migranti che seguono la rotta balcanica. Una guerra, quella siriana, cominciata da una rivolta prevalentemente interna cui si sono sommate strategie di posizionamento di tutte le potenze locali, guidate da interessi economici (ad esempio, il transito dei gasdotti da Iran e Qatar all’Europa attraverso la Siria, in concorrenza ai gasdotti russi) e militari (si pensi alle basi navali russe nel Mediterraneo). Una guerra totale nel senso che si sta combattendo su tutti i fronti ed in tutti i modi, ma non assoluta, tale cioè da puntare all’annientamento dell’avversario. Come molte guerre moderne, una cool war: una guerra intelligente (in cui si fanno azioni di guerra per testare il nemico, verificare le sue tattiche, scoprire le sue armi, legittimare le proprie scelte) e fluida (dove tutti gli attori hanno interessi comuni e divergenti allo stesso tempo). In tutto questo il fattore religioso ha un ruolo non trascurabile come elemento di aggregazione e motivazione: i gruppi fondamentalisti, raggiunto il potere, tendono infatti a generare ulteriore estremismo, in quanto i loro oppositori spesso assumono posizioni ancora più radicali (come è accaduto con il Daesh rispetto ad Al Qaeda).

Per chi fugge da queste aree di guerra sono importanti – più che i fondi dalla costruzione dei campi profughi, che raccolgono spesso i più poveri – investimenti a lungo termine sui servizi educativi e sanitari. A compiere i viaggi più lunghi sono invece persone della classe media che, partite libere, si affidano ad organizzazioni criminali e si ritrovano “schiave” in un punto di non ritorno lungo la via, superato il quale sono pronte a rischiare la vita. Le attività umanitarie di soccorso dei migranti nel Mediterraneo sono state sfruttate dai trafficanti a proprio vantaggio – non certo a vantaggio dei migranti – perché consentono loro di abbandonarli in mare aperto, sfuggendo dalla cattura. Di fatto il confine meridionale dell’Italia, come di tutta l’Europa forse, deve essere considerato ora quello rappresentato dai paesi subsahariani, mentre quello orientale coincide con i Balcani: già questi confini potrebbero rappresentare interessi comuni attorno a cui ricostruire l’unità europea, oggi minata da molti paesi membri che si pensano ancora come potenze imperialiste. Soprattutto, i suoi migliori valori (la solidarietà, i diritti umani) probabilmente sono anche i suoi maggiori interessi. Su questa equazione cerca di muoversi la diplomazia del Vaticano: accetta di scendere nel gioco della politica (e di conseguenza strumentalizzare e farsi strumentalizzare) purché i valori che propone possano essere difesi da portatori di interessi. E questo obiettivo, ha concluso padre Larivera, dovrebbe muovere ogni cristiano che ha interesse per la politica e accetta di mettersi in discussione: saper costruire interessi condivisi, per dare sostanza ai valori di cui è portatore.