Passaggio di testimone

tratto da Vita Nuova (a cura di Paolo Rakic)

Gianguido Salvi

Può raccontare in breve la sua biografia e quali passi la hanno portato ad essere stato presidente di AC?

Sono nato a Trieste 55 anni fa, lavoro all’Università di Trieste come ricercatore nel settore scientifico della paleontologia, in poche parole sono un biologo del passato. Viaggio molto per le mie ricerche attinenti, in particolare, ai cambiamenti climatici ed ambientali del passato, in posti anche molto lontani, aspetto decisamente affascinante della mia attività lavorativa che mi ha permesso di conoscere paesi e culture differenti ed apprezzare quanto di bello nella sua varietà esiste nel nostro pianeta. Ho approcciato l’Azione Cattolica da giovane studente universitario con la Federazione Universitaria Cattolica Italiana e da quel momento è scoccata la scintilla che ha acceso la passione verso l’Associazione.

Per fare il punto della situazione: numeri e presenza dell’AC oggi a Trieste? In quali parrocchie è presente e per quali “target” di persone?

I numeri precisi delle iscrizioni non sono ancora pervenuti in forma definitiva ma prendendo in considerazione l’anno appena trascorso superiamo i 400 iscritti tra ACR, Giovani e Adulti con altrettanti simpatizzanti, nelle quattordici parrocchie in cui operiamo. L’Azione Cattolica copre, inoltre, con tutte le sue attività tutto l’arco generazionale dai bambini agli “adultissimi”.

Ogni associazione persegue un fine. Quale è quello specifico dell’AC? In tre parole quale è “il cuore” di questa realtà ecclesiale?

Nella ricerca della fede dell’aderente posso dire che non vi è obbligo ma adesione, così come riportava nel saggio, Vivere come se Dio esistesse, il teologo tedesco Heinz Zahrnt, “Dio abita soltanto là dove lo si lascia entrare”. Ed è quindi questa “scelta libera”, anche se talvolta faticosa, il “cuore dell’AC” a cui ogni anno donne e uomini, ragazzi, giovani, adulti danno il loro si, impegnandosi assieme per la vita della Chiesa e della società e delle loro comunità religiose con la profonda coscienza di aver ricevuto un dono che germoglierà unicamente se lo faremo conoscere e apprezzare anche da altri.

Se dovesse tracciare un bilancio del suo mandato, quali sono state le gioie? Quali le difficoltà più grandi?

Non vorrei soffermarmi sulle difficoltà, che non nego in questi anni ho affrontato con l’aiuto del Signore, perché riguardano principalmente la mia sfera famigliare; queste sono state fortunatamente bilanciate dalle gioie, decisamente numerose, come la soddisfazione di aver operato all’interno di un’Associazione vitale fatta da persone che vedono ed affrontano la vita in modo simile al mio, in questi anni, infatti, sia livello locale che nazionale ho avuto il piacere di stringere numerose amicizie con donne e uomini con cui ho condiviso un periodo importante della mia vita.

In cosa è maturato come persona e come credente?

Se vi è stata una maturazione credo sia principalmente legata ad una maggiore consapevolezza che è nella collaborazione con gli altri che si ottengono i risultati migliori, che Dio ci ha dato dei compagni con cui intraprendere le vie che portano a Lui e che ogni giorno si deve affrontare con la serenità di non essere soli.

Se dovesse scegliere cinque cose/persone/avvenimenti “da portare via” dopo questa esperienza di presidenza, quali sarebbero?

I volti dei bambini nei ritrovi ACR, l’entusiasmo dei giovani nell’organizzare gli eventi aperti al pubblico come ad esempio “Sorsi di Cultura” o nella realizzazione dei percorsi dedicati al Beato Bonifacio, la passione dei nostri adultissimi, come testimonianza che la ricerca del Signore va sviluppata durante tutto il corso della nostra vita, la saggezza di un amico, che mi ha lasciato recentemente, il quale aveva ben chiare le priorità della vita, la sua famiglia in primis. Tutte questo porterò con me come dono prezioso.

Dall’inizio del suo mandato, quali cambiamenti più significativi ha visto nel mondo e quali nella Chiesa?

Il mondo, per come lo vivo io da viaggiatore, cambia rapidamente perché l’uomo è un “animale creativo” e modifica quasi sempre in meglio la realtà che lo circonda. In Europa ed in particolare nel nostro paese, forse a causa del forte calo demografico e del conseguente invecchiamento, ho visto crescere paura ed egoismi, il rancore domina i ragionamenti di molti. In questo momento storico la Chiesa tutta con papa Francesco in prima fila hanno operato ritengo, in modo forte, per aprire nuovi percorsi di evangelizzazione.

Come pensa di continuare il suo apporto nell’AC dopo questo incarico?

Per prima cosa tirerò un po’ il fiato, sono stati anni belli ma densi di impegni; all’inizio del mio mandato ho scelto il passo dal Salmo 8 “Che cos’è l’uomo perché tu lo ricordi?”, da studioso mi piacerebbe analizzare meglio l’unicità dell’Uomo nel panorama della vita sulla terra e di conseguenza le sue responsabilità sul creato. Tornerò ad operare nella mia Parrocchia come aderente per tutte le necessità della stessa.

Arturo Pucillo

Anche lei può raccontare brevemente qualche tratto della sua biografia e che cosa l’ha portato fino qua.

Ho 43 anni, sono laureato in fisica e lavoro come meteorologo presso l’OSMER – ARPA FVG. Sono sposato con Lara dal 2014 e ho tre vivaci figli. La mia adesione all’Azione Cattolica risale ai 18 anni, quando la mia parrocchia, Santa Caterina da Siena, mi chiamò al servizio educativo nell’ACR. Io non ne sapevo quasi nulla, ma mi appassionai presto a questo modo innovativo di raccontare Gesù ai ragazzi e decisi di impegnarmi anche a livello diocesano nel Settore Giovani; fui consigliere, vicepresidente per il Settore Giovani, vicepresidente per il Settore Adulti, infine Segretario e adesso sono qui.

Come viene scelto un nuovo presidente di AC? Quali sono i suoi compiti? Con chi dovrà collaborare?

La scelta del presidente è fiore all’occhiello della prassi democratica dell’AC fin dai tempi di Vittorio Bachelet: ogni 3 anni i delegati parrocchiali si riuniscono in assemblea per eleggere i 15 membri del consiglio diocesano, il quale poi vota a sua volta tre candidati alla presidenza tra i quali il Vescovo nomina il presidente. All’apparenza è un procedimento tortuoso, ma assicuro che è una formidabile palestra di esercizio democratico che aiuta a comprendere e interpretare le fatiche della sinodalità a cui la Chiesa ci chiama. Al presidente diocesano è richiesto, nei 3 anni di mandato, di farsi custode dell’unitarietà dell’associazione e della sua piena adesione alla Chiesa particolare.

Domanda molto immediata: chi è per lei Gesù Cristo? Come l’ha incontrato?

Gesù Cristo è per me prima di tutto il volto di Dio, il “tu” a cui ho potuto rivolgermi; è la Parola che mi ha formato, che mi ha dato forza e umiltà; è il Pane della mensa a cui siedo, indegno ma pienamente invitato. L’incontro con Lui non lo posso datare: ogni età mi ricorda un rapporto sempre diverso perché io sono cambiato di tempo in tempo, mentre il Signore è rimasto sempre lo stesso.

Perché oggi un laico dovrebbe trovare interessante diventare credente e “credente impegnato” in una forma associativa come l’AC?

Parto da un presupposto: l’ateismo è arduo. Si può credere in qualcosa di sbagliato, ma si crede. La Chiesa è un faro nella notte di tempesta, mi fa vedere in verità la profondità del mare in cui navigo e l’orizzonte verso cui dirigermi, pur se le onde rimangono sempre le stesse. L’adesione impegnata alla Chiesa è tendere la mano a coloro che incontro: non posso placare le onde, ma posso mostrare il faro, l’orizzonte, la salvezza a chi è nel timore e nell’affanno di fianco a me. Questa esperienza di prossimità io l’ho fatta in Azione Cattolica: è stata una formidabile palestra di Chiesa che mi ha fatto amare la Chiesa.

Su quali piste/temi intende fare lavorare l’AC diocesana nei prossimi anni?

L’AC per sua natura ha grandi capacità formative e attrattive. Dobbiamo solo stare attenti all’unitarietà del nostro cammino associativo: adulti, giovani, ragazzi dovranno migliorare nella disposizione a lavorare assieme e gli uni per gli altri secondo il principio di sussidiarietà e responsabilità; e ciò passa inevitabilmente per un cammino di fede individuale più solido.

Oggi viene un po’ abusata la categoria di “periferia esistenziale”. Uscendo dalle parole “fumose” cosa significa per lei oggi essere cristiano in azienda e nella vita sociale e civile?

Significa essere testimone credibile. È la sfida più grande perché si rischia con poco di rovinare tutto.

La Chiesa spesso fa molte cose, ma è “tagliata fuori” dal mondo social. Eppure, tante persone anche lontane dalla Chiesa vivono molto la rete. Sembra che non ci accorgiamo di quanto siamo “fuori dal mondo”. Su quali piste occorre lavorare, secondo lei, come credenti?

La comunicazione social è decisiva per raggiungere una larga fascia di persone. Io credo che a noi sia richiesto, in più, di ridare dignità all’incontro personale, di riunificare la socialità parcellizzata, di attardarsi nell’attesa dell’ultimo dei fratelli nonsocial mentre ri-offriamo un incontro personale a chi vive, purtroppo, quasi di sola virtualità.

Per concludere: che cosa si aspetta dall’AC e quale il suo augurio per l’associazione?

Non so dire cosa mi aspetto dall’AC, mi domando fin da ora cosa l’AC si aspetta da me: auguro quindi all’associazione di vivere il proprio carisma con la massima disponibilità e apertura, con l’impegno che l’orizzonte verso cui navighiamo merita. Io, da presidente, farò di tutto per dare per primo questa disponibilità.



(a cura di Paolo Rakic)

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