Respirando con Jacques Delgado

di Davide Martini

Respirando con Jaques: è questo il curioso nome associato ad gruppo Whatsapp che mi ha segnalato mia sorella alcune settimane fa: per sapere meglio di cosa si trattasse mi ha consigliato di fare alcune domande al  protagonista  e cioè Jaques Delgado, psicoterapeuta brasiliano giunto a Trieste  molti anni fa  per approfondire l’esperienza basagliana.

Come stai Jaques?

Meglio, ieri sono uscito per la prima volta nel rione di San Giovanni, dove risiedo, per raggiungere il mio medico di famiglia e mi ha colpito trovare strade non proprio deserte; inoltre, ho notato che, camminando, le persone che incrociavi facevano in modo di scansarti il più possibile come se il distanziamento sociale fosse ormai entrato nell’immaginario collettivo: diffidenza verso i possibili untori o semplice rispetto delle regole, mi sono chiesto.

Mi ha colpito, quando hai raccontato al nostro quotidiano locale che, una delle cose che ti pesava di più, fosse l’isolamento: che cosa ci puoi dire in merito?

Sì, è vero. A dire il vero sono stato anche fortunato, dal momento che all’ospedale di Barcellona avevo la camera n. 1 segno che ero tra i primi ricoverati di Covid-19 ed il primo intubato; giunto là il 12 marzo, i problemi seri, nella capitale catalana sono cominciati tre giorni dopo. Però, da subito, mi hanno isolato completamente: e le rare volte che entravo in contatto con il personale sanitario, medici ed infermieri sembravano degli astronauti, a tal punto erano protetti; quando era il turno dei pasti bussavano alla porta e lasciavano il cibo là fuori.

Immagino che il tempo passasse lentamente…

Facevo fatica a percepire in quale momento della giornata fossi, dal momento che non avevo punti di riferimento ed i pensieri (anche quello della morte) affollavano la mia mente.

Come ti hanno trattato?

Devo dire che, pur essendo la situazione veramente difficile anche per loro, di fronte ad una nuova malattia, hanno fatto di tutto per farmi sentire meglio, cercando di instaurare un dialogo chiedendomi della mia famiglia; per fortuna, avendo già lavorato molte volte in questo paese  il mio spagnolo era fluido e potevo comunicare facilmente; anche io comunque cercavo di essere  positivo e sono entrato in una connessione “simpatetica” con il personale dell’ospedale, facendo tesoro di ogni piccolo miglioramento a cominciare dalle piccole cose: da quando sono potuto andare nuovamente in bagno in modo autonomo, oppure quando sono riuscito nuovamente a mangiare qualcosa dai cibi più semplici dopo esser stato estubato.

Te l’avranno già chiesto in molti, ma non posso fare a meno di sapere se, anche da  questa esperienza a prima vista così drammatica, non si possa in fondo imparare qualcosa: la sofferenza insegna Jaques?

Ad esser sincero, se mi chiedessero se avessi voglia di passare nuovamente questa situazione direi di no, però, ora che ne sono uscito, dico che mi sono arricchito, e da sopravvissuti si apprezza di più la vita. Quando ho scoperto, dopo essermi risvegliato dal coma indotto, che mia moglie Viviana aveva creato su Whatsapp un gruppo col nome Respirando con Jaques, in cui persone da tutto il mondo pregavano per me mandando pensieri, canzoni…mi son chiesto: ma io chi sono? Italiano, brasiliano…ed ho capito che faccio fatica ad appartenere ad una categoria…ed anche se non ero cosciente, qualcosa arrivava…era come se fossimo tutti connessi ad un essere superiore; lingue e culture diverse che avevano un pensiero per me; come quando Gesù dice: se due persone sono riunite nel mio nome, Io sono in mezzo a loro. E’ come se ognuna di queste persone mi avesse donato tre respiri. Anche perchè io volevo sopravvivere, pur essendo stato anche sul punto di desistere, ma non potevo immaginare di non rivedere più mia moglie e i miei figli.

Ultima cosa, Jaques: secondo te, le misure prese in Italia sono state corrette od eccessivamente restrittive delle libertà personali?

Secondo me han fatto bene a chiudere tutto, dal momento che il principio di prudenza, di fronte ad una malattia misteriosa è una misura di buon senso; ci sono dei paesi, tra i quali quello dove sono nato in cui il presidente invitava le persone ad uscire per sconfiggere a viso aperto il Covid-19 ripetendo che era solo un banale raffreddore. Ma come si fa a dire una cosa del genere? Significa mandare la gente al mattatoio… Anche nel mio paese mi hanno intervistato ed ho detto queste stesse cose ed un amico mi ha ringraziato per aver “salvato” la vita di suo zio convincendolo a restare a casa.