Ricordando don Eugenio, sacerdote e Vescovo di queste terre

di Mario Ravalico e Arturo Pucillo

Vi sono nel corso della storia di ogni Chiesa particolare alcuni eventi che ne segnano profondamente il cammino: su tutti, ciò che attiene alla vita dei pastori che si susseguono negli anni, generazioni di Vescovi chiamati a donarsi al popolo loro affidato.

Per il Vescovo Eugenio, si è trattato di un’esperienza ancor più particolare e intensa, perché nel lontano 1997 è stato chiamato a “pascere le Sue pecorelle” proprio nelle travagliate terre che hanno intrecciato storie di dolore, emarginazione, separazione, diffidenza, sradicamento. Condizione, questa, che forse ne ha ancor più addolcito il tratto pastorale proiettandone al contempo le scelte verso un orizzonte innovativo, popolare, che interpretasse col paradigma della corresponsabilità il rapporto tra laici e ordinati, e tra questi e la città. Si considerino infatti le scelte di una donna, Fabiana Martini, quale direttore responsabile del settimanale diocesano Vita Nuova, prima in Italia, e di un laico, Mario Ravalico, quale direttore della Caritas diocesana. Nello stesso periodo, per parlare di Azione Cattolica, ebbe a nominare presidente una donna, Giuliana Terzani, e dopo di lei Michela Brundu.

Ecco, proprio il rapporto con Azione Cattolica è stato fecondo per entrambi: ai tempi della parrocchia di San Vincenzo De’ Paoli ebbe a stringere rapporti fraterni con molti aderenti AC, a cui donò e da cui ricevette affetto e anche uno stile. Fin dall’età giovanile frequentava la Gioventù di Azione Cattolica, di cui divenne successivamente assistente per il Movimento Studenti, e diede impulso alla costituzione di Gioventù Studentesca a Trieste negli anni sessanta. Più avanti, si dedicò alla formazione di fidanzati e coppie di sposi, connotando una volta di più l’attenzione al ministero laicale. Ancora oggi, molto di ciò che è Azione Cattolica si deve a don Eugenio.

Lasciamo quindi alle parole di Mario Ravalico, che con don Eugenio strinse un rapporto di vera amicizia, tratteggiare i riflessi di un uomo, di un fedele di Cristo, di un sacerdote, di un pastore: di un amico.

“Giovedì 7 maggio, ore 23.30. Suona il telefono, una telefonata attesa eppure temuta. E’ Paolo Ruzzier a dirci che monsignore ha concluso la sua vita. Lo ha saputo in quel momento da chi lo assisteva con amore e delicatezza nella sua casa. E sta andando da lui per l’ultimo saluto.

Solo qualche ora prima di quella telefonata, don Mario Del Ben aveva inviato una mail con un pensiero affettuoso su mons. Ravignani dicendo che stava concludendo la sua vita tra di noi.

Sono tanti i pensieri e i ricordi che vengono alla mente, pensando a don Eugenio. Con Giuliana abbiamo avuto la gioia e la grazia di vivere con intensità questi ultimi anni della sua presenza tra di noi; lo abbiamo sentito sempre di più come amico e fratello, anche se ultimamente non abbiamo potuto incontrarlo a causa della situazione sanitaria. L’ultima occasione è stata il pomeriggio dell’ultimo giorno di carnevale. Siamo andati da lui per partecipare alla celebrazione dell’Eucaristia che non mancava mai di fare, ormai a casa sua, quel giorno assistito da don Mario. Un momento di preghiera sereno, nella sua accogliente cappella a cui tanto teneva; poi, come al solito, seduti attorno al tavolo per il tè, ci siamo scambiati quattro chiacchiere che lui iniziava sempre con quella solita richiesta: contime qualcossa de bel. E lui non cessava mai di raccontare tante cose del passato, di cui non tralasciava nemmeno i particolari, storie e racconti che magari avevamo già sentito ma che a lui piaceva ricordare nuovamente. Era un momento di grande fraternità e di amicizia.

Ricordo la sua gioia, quando un pomeriggio di dicembre, nella sua casa, Giuliana stava preparandogli il presepe, insieme a Paolo, cercando di realizzarlo come negli anni precedenti: ci teneva tanto alle tradizioni. Quello per lui era un momento particolare, di gioia, di allegria, sentiva vicino il Natale. Ricordo come si elettrizzava quando vedeva d’inverno scendere la neve: la sua espressione felice era come quella di un bambino, magari poi non andava nemmeno in giardino a toccarla, ma vederla scendere gli dava un’allegria indescrivibile.

Don Eugenio, per noi a Opicina, è stato anche l’assistente dell’AC. Per diversi anni, con costanza ammirevole, frequentava il nostro gruppo di adulti, nel percorso di catechesi che il testo dell’Azione Cattolica ci proponeva. Quando la presentazione di un tema veniva fatta a turno dai vari partecipanti, lui ascoltava con paziente attenzione, mai invadendo il campo laicale. Solo a conclusione dell’incontro, con la sua capacità non comune di fare sintesi, interveniva dando quelle indicazioni e suggerimenti per la vita del cristiano, riuscendo a trarre dalla discussione i punti più importanti.

Nel tempo in cui celebrava l’Eucaristia nella chiesa di San Michele, era solito alla fine fermarsi fuori per salutare i fedeli e scambiare con cascuno di essi una battuta, un ricordo, un pensiero, sempre affabile e capace di ascolto, partecipando in modo molto intenso alle varie vicissitudini di ciascuno. E mi piace ricordare come molto spesso, rivolgendosi a me e a Giuliana, ci diceva: “dai, venite a casa che facciamo due chiacchiere”. Così andavamo da lui, sempre ospitale e accogliente, e là, con grande familiarità e in piena libertà, ci scambiavamo reciprocamente pensieri e opinioni su tante cose riguardanti la Chiesa soprattutto, ma anche sulla vita della comunità civile. Perchè non si è disinteressato di quanto accadeva attorno a lui. Era anche il momento dello scambio di sentimenti molto personali. Per quello che mi riguarda, porto nel cuore la sua parola e il suo consiglio fraterno quando, in un momento molto particolare della mia vita, mi aveva aiutato a superare alcune prove e a guardare avanti. Il suo, sempre, in ogni occasione, era un giudizio sereno che ti faceva superare tutte le difficoltà.

Poi, alla fine dei nostri incontri, quando Giuliana ed io ritenevamo fosse giunto il momento di salutarci e ritornare a casa, immancabilmente tirava fuori dalla sua ricchissima biblioteca o dal computer qualche testo, una foto, un ricordo e là ricominciava a raccontare; era un modo affettuoso per prolungare il nostro incontro. E qui non posso dimenticare come ogni volta il saluto era un forte e stretto abbraccio che, in tempi recentissimi, aveva assunto il tono della commozione. Era il suo modo per dirci, quando non lo faceva esplicitamente, “vi voglio tanto bene”. E lui ben sapeva che questo era ricambiato.

Uno dei suoi desideri era andare assieme in Istria, a Pola soprattutto, ma anche in altre località che lui conosceva. Ed era felicissimo quando a Pola incontrava un suo carissimo amico, don Desiderio, già parroco della Cattedrale, e insieme a lui si fermava sui luoghi della sua infanzia: la casa e la chiesa dei frati dietro l’Arena, i Giardini, Siana ed altre parti ancora. Oppure sui luoghi del beato don Bonifacio, a Buie, a Crassiza, dove spesso aveva celebrato l’Eucaristia, a Grisignana o a pregare sul luogo in cui l’AC ha realizzato un monumento in ricordo del martire. Oppure ancora a Pirano, dove era vissuto un periodo quando, sfollato da Pola in tempo di guerra, prima di arrivare a Trieste, vi si era rifugiato; voleva ritrovate la casa nella quale aveva abitato. E poi l’appuntamento annuale a Fiume, il 15 giugno, memoria di San Vito, per celebrare l’Eucaristia nella Cattedrale con i fedeli di lingua italiana. Una presenza numerosissima che attendeva con goia l’arrivo di mons. Ravignani e, immancabilmente, dopo la cerimonia, fuori dalla chiesa, tanti incontri, foto di gruppo, saluto ad autorità e semplici cittadini, in un rapporto sempre aperto e sincero. Quando lo accompagnavamo a Fiume era tutto elettrizzato per l’evento che sapeva essere atteso.

A conclusione di questi ricordi, credo si debba dire una parola di gratitudine al Signore per il dono di questo prete, vescovo e amico, per la sua bontà, il suo tatto di grande signorilità ed insieme di umanità, il rispetto e la fiducia nei laici, la sua capacità di ascolto di ogni persona, mai tralasciando di farsi presente, seppure con discrezione,  nelle diverse necessità della gente.


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