Ricordo del Vescovo Eugenio – Michela Brundu

di Michela Brundu, presidente diocesana dal 2002 al 2005

Dovevo scrivere queste righe: un ricordo e un ringraziamento per quella stagione attraversata insieme, lui da vescovo e io da presidente diocesana dell’Azione Cattolica nel triennio 2002-2005.

E’ la memoria di un rapporto speciale e unico tra due persone che svolgono questi servizi nella Chiesa: due ruoli chiari a entrambi nelle specifiche peculiarità e nella dinamica del confronto e dello scambio. La nostra relazione personale si inseriva in questo intreccio istituzionale in modo naturale, anzi ne era plasmata e corroborata.

Eugenio Ravignani era, caratterialmente, conciliante. Questa caratteristica diventa essenziale per un vescovo che eredita una diocesi piccola ma complessa come la nostra. Dopo il fervente episcopato di Bellomi – di stampo fortemente conciliare – Ravignani si trova a governare una Chiesa diocesana che porta visibili le ferite non ancora rimarginate del dopoguerra e che vive tensioni talvolta violente. Col suo carattere mite e discreto, il vescovo Eugenio orienta la sua bussola decisamente verso la riconciliazione delle parti. La sua riflessione pastorale si articola in larga parte attorno a quello si può leggere come uno slogan del suo episcopato: la “purificazione della memoria”. E’ un obiettivo che affonda le sue radici nella “teologia della riconciliazione nella Chiesa” di Giovanni Paolo II (proposta nella Quaresima del 2000) e che Ravignani declina nel contesto storico e geografico delle sue terre.

Sono numerosi gli episodi in cui questo suo habitus orientava le scelte della Chiesa locale. Le giornate autunnali di “Borca cultura”, nella località cadorina che tutt’ora è associata alle esperienze formative dell’Azione Cattolica, sono fiorite nel suo episcopato. Proprio in quelle occasioni, costantemente, raccomandava agli organizzatori di invitare relatori che fossero espressione di posizioni e sensibilità diverse. Per lui il governo aveva la cifra dell’inclusione e della costruzione.

Profondamente convinto della validità progettuale dell’Azione Cattolica, dove era avvenuta la sua formazione giovanile e la maturazione della sua vocazione ministeriale, manifestava la sua vicinanza nelle udienze mensili che gli chiedevo, ascoltando con vivo interesse tutte le dinamiche associative. Entrava nel vivo delle questioni per consigliare e proporre percorsi, con la sua proverbiale delicatezza. Sempre presente, sempre informato e partecipe, convinto dell’importanza del laicato nello scenario ecclesiale, non di rado sceglieva laici, anche di Ac, per ruoli di rilievo nella Chiesa diocesana.

E volentieri veniva in visita ai campi estivi di Ac nella casa di Borca di Cadore, dove rinverdiva i ricordi della sua giovinezza. Nelle serate, dopo cena, era capace di intrecciare memorie, episodi scherzosi, risate e commozione: tutti intorno ai tavoli della sala da pranzo, giovani e adulti, a far rivivere i ricordi di “famiglia”. La sua abituale riservatezza allora lasciava spazio all’umanità più autentica e immediata, ad esempio rievocando il suo inizio di ministero a San Vincenzo, accolto dal temuto e iconico parroco Parentin. “Ero un pretino timido e tremante…”, così iniziava il racconto.

E proprio nella sacrestia di San Vincenzo, quando veniva ad amministrare le cresime, andavo a salutarlo e, scherzosamente, lo ammonivo di non iniziare la predica dicendo “Qui, nella mia parrocchia…”, perché era vescovo di tutti. Ma l’incipit era quello, immancabilmente. E aggiungeva con tono sommesso: “Mi sgridano se lo dico, ma comunque…”, e mi lanciava un impercettibile sorriso divertito. Negli ultimi anni, dopo la fine del suo mandato pastorale, ogni tanto andavo a Messa nella chiesetta di San Michele a Opicina e dopo passavo a salutarlo in sacrestia. Mi accoglieva con un sorriso tra stupito e commosso, esclamando il mio nome a braccia spalancate e continuando in dialetto, con la voce resa tremula dagli anni, “sei venuta fin quassù… Hai fatto bene!”. Un’abbraccio tenero e paterno, fuori dall’istituzionalità. E con le parole sussurrate di un padre che ti chiede come stai, guardandoti negli occhi. Lo sguardo azzurro di don Eugenio. Uno sguardo che ora è spalancato perché il giorno, per lui, è spuntato luminoso.

nota: articolo già pubblicato sul numero del 15 maggio di Vita Nuova

Torna in alto