Risparmiare acqua. Dallo spazio

di Davide Martini

Avete mai sentito l’espressione “oro blu”? Certamente sì, dal momento che si prevede che il tentativo di accaparrarsi questa preziosissima ed indispensabile risorsa potrebbe essere una delle principali ragioni delle guerre future, combattute non più solo per il cosiddetto “oro nero”. Ed in un mondo dove una buona fetta della popolazione non solo muore di fame ma fa anche di sete, diventa sempre più necessario non sprecare questo insostituibile bene non solo per ragioni di opportunità economico-sociale, ma anche e soprattutto per motivi etici. Infatti, il paradosso sta nel fatto che mentre in molte zone del pianeta l’acqua scarseggia, in molte altre dove ce n’è in abbondanza questa viene letteralmente sprecata.

Nel nostro paese una maggiore sensibilità su questo tema c’era stata ai tempi del referendum sull’acqua pubblica, in cui si chiedeva ai cittadini di impedire la privatizzazione di beni così importanti per la collettività; la mobilitazione era stata imponente e l’esito del referendum quasi plebiscitario a favore del mantenimento in mani pubbliche di questa risorsa. A parte il fatto che poi il risultato era stato parzialmente disatteso (si è andati avanti con la privatizzazione anche di tali servizi), ma siamo sicuri che una gestione pubblica dell’acqua sia sempre conveniente (e non solo dal punto di vista economico)? Me lo sono chiesto ripensando alle notizie che periodicamente arrivano dai mezzi di informazione sullo spreco che ancora oggi se ne fa; dovete infatti pensare che, solo nella nostra regione, più del 40% dell’acqua che scorre nelle tubature degli acquedotti si disperde prima di arrivare nei nostri rubinetti. Perché? Le ragioni sono molte: mancata manutenzione, inefficienza gestionale, ecc…

Ma forse una soluzione c’è. Grazie all’innovazione tecnologica. Dallo spazio.

Esiste infatti una nuova start-up, incubata nel Business Innovation Centre Lazio a Roma, che ha reinventato il mestiere di rabdomante in versione moderna. Abbiamo già detto che le perdite dei nostri acquedotti sono sconfortanti e che ridurle, in questo periodo storico di cronica mancanza di risorse, risulti alquanto complicato; in realtà questa nuova azienda non farebbe altro che utilizzare dati già in nostro possesso e che arrivano da molto sopra le nostre teste… Diversi satelliti hanno infatti a bordo radar in grado di penetrare la superficie terrestre per alcuni metri fornendo indicazioni sulla umidità del terreno. Elaborando opportunamente questi dati e sovrapponendo le immagini satellitari con i tracciati degli acquedotti, è possibile individuare le perdite idriche con una grande efficienza, permettendo alla manutenzione di intervenire andando a colpo sicuro e prima che si verifichino situazioni come quella vista a Firenze sulle rive dell’Arno. L’azienda, che si chiama Neptune (ha ottenuto per questa innovazione finanziamenti dall’ESA, European Space Agency) è riuscita a recuperare molte “falle” in questi ultimi anni, anche perché questo tipo di ricerca è molto più veloce di quelle tradizionali. Queste sfruttano gli impulsi elettro-acustici (attraverso un microfono tarato sul rumore del fischio dell’acqua quando esce dalla tubatura) che possono monitorare “soltanto” 5-6 km al giorno per operatore, a differenza di quella coi satelliti in grado di controllare fino a 50 km al giorno di tubature, persino quelle non mappate precisamente (dal momento che gli acquedotti sono strutture talvolta vecchie di secoli). La società sta ora sviluppando un’applicazione “mobile” per fornire direttamente agli operatori i punti di perdita attraverso il percorso più breve da individuare attraverso smartphone. Hanno reinventato appunto il mestiere di rabdomante però con una procedura capovolta: una volta era il rabdomante con la sua bacchetta ad avvertire dove c’era l’acqua nel terreno, ora è la Neptune ad avvertire gli operatori dove ci sono le perdite.

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