Sud Sudan

di Andrea Dessardo

 

Ha fatto scalpore il gesto, oggettivamente sopra le righe, del Papa che s’è inchinato a baciare i piedi ai leader del Sudan del Sud venuti a Santa Marta il 10 e l’11 aprile scorsi. Ma, prima di formulare dei giudizi, occorre inquadrare meglio il contesto.

Certo, a scorgere di fretta la foto sui social, si sarebbe tentati di dire che è inopportuno che il papa si umili fino a tal punto davanti a dei personaggi politici; sarebbe inopportuno con uomini di specchiata moralità, tanto più al cospetto di uomini ambigui come Salva Kiir Mayardit, primo presidente dopo l’indipendenza conquistata nel 2011, e i suoi vice designati Riek Machar Teny Dhurgon, venuto a Roma in permesso speciale da Khartoum, dov’è condannato agli arresti domiciliari (fu infatti lui a tentare il colpo di Stato nel 2013), James Wani Igga, Taban Deng Gai e Rebecca Nyandeng De Mabior. Uomini che hanno combattuto un’aspra guerra civile che, tra il 2013 e il 2018, ha causato quattrocentomila morti e quattro milioni di sfollati. La guerra è ufficialmente terminata lo scorso 12 settembre con un accordo di pace firmato ad Addis Abeba, il quale è in attesa di entrare in vigore nel prossimo mese di maggio: intanto il paese si regge su un fragile armistizio.

La notizia che purtroppo è passata in secondo piano è che i capi del Sud Sudan si trovavano in Vaticano per un ritiro spirituale di Quaresima, organizzato in concerto tra le locali chiese anglicana, cattolica e presbiteriana. Il paese, infatti, godeva di uno statuto d’autonomia, poi divenuta indipendenza, proprio perché in maggioranza cristiano e animista, mentre il Sudan del Nord è musulmano. L’incontro a Santa Marta, durante il quale hanno predicato l’arcivescovo di Gulu mons. John Baptist Odama e il padre gesuita  Agbonkhianmeghe Orobator, è stato organizzato insieme da papa Francesco, dall’arcivescovo di Canterbury Justin Welby e dal moderatore della Chiesa presbiteriana di Scozia John Chalmers. È un fatto che, anche al di là delle sue promettenti implicazioni politiche, dovrebbe far gioire i cristiani d’ogni confessione. A noi cattolici dovrebbe far piacere che dei leader politici che nel recente passato si sono macchiati di crimini che facciamo fatica a immaginare, si siano trovati due giorni ad ascoltare la Parola di Dio.

Il Papa e la diplomazia vaticana si stanno impegnando a fondo per la stabilizzazione del paese, anche se di questo di solito i giornali non parlano: il presidente Kiir era già venuto in visita il 19 marzo (nello stesso giorno veniva nominato il primo nunzio apostolico in quel paese, mons. Hubertus van Megen), mentre dal 21 al 25 dello stesso mese, la visita era stata ricambiata da mons. Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati, trattenutosi a Giuba, la capitale, per ben quattro giorni. Papa Francesco sta da tempo progettando il suo viaggio, probabilmente nel prossimo mese d’ottobre.

Non sappiamo come andranno in futuro le cose nel Sudan del Sud: affidiamo al Signore il destino di quella gente. Intanto abbiamo visto i loro capi parlarsi e pregare assieme per due lunghi giorni, che sono assai di più che una photo opportunity attorno al tavolo dei negoziati, come tante volte abbiamo visto per le troppe guerre di questi anni. Che quindi il papa abbia trasgredito al cerimoniale con un gesto tanto plateale è solo parte della notizia. L’ha fatto giovedì 11 aprile, a una settimana esatta dal Giovedì Santo, dove il gesto si ripete ogni anno per dodici volte.