Trieste al ballottaggio: un confronto tra culture?

di Giovanni Grandi

Trieste sta andando al ballottaggio e cominciano ad emergere le “anime” dei contendenti, che – almeno questo pare di poter dire – non hanno entusiasmato gli elettori al primo turno, vista la bassa affluenza al voto. Per quasi la metà dei triestini nessuno dei candidati è apparso votabile ed è prevalso il prevedibile pensiero di nobile derivazione mitteleuropea: «un pèzo de l’altro». In un primo confronto diretto tra Cosolini e Dipiazza sono arrivati sul tavolo alcuni prevedibili cavalli di battaglia, in primis il famigerato Gioco del rispetto. Sopravvalutato? Sottovalutato? Sicuramente una buona leva per stuzzicare le suscettibilità di molti, specie nel mondo cattolico, essendo diventato il facile vessillo sotto cui i detrattori hanno potuto raccogliere un vasto ed eterogeneo pacchetto di idee e visioni sul mondo delle relazioni e degli affetti.

Perché il Gioco del Rispetto – un’iniziativa animata da buone intenzioni (e da qualche ingenuità di troppo relativamente alle questioni antropologiche che evocava) – è finito per essere un prevedibile tema caldo da campagna elettorale?

Perché la discussione non si è fermata a livello della valutazione della più o meno opportuna resa didattica delle attenzioni proposte, ma si è appunto spostata sul retroterra culturale, incrociando qui le rotte di altre campagne di opinione che fanno leva sulla questione “genere” o “gender”, se vogliamo darci un tono internazionale. A questo livello i temi sono diversi e delicati e, certamente, hanno a che vedere anche con un’idea della società, delle relazioni parentali, dei rapporti tra generazioni. Sono argomenti che meritano di essere discussi a fondo, possibilmente prima di imboccare a tutta velocità quella deriva che dichiara affetto da “fobie” di vario tipo chiunque desideri capire, esaminare. E magari proporre altri modi per affermare l’imprescindibile rispetto dovuto a ogni persona in una più ampia visione sociale.

Questa stessa propensione a discutere e possibilmente discernere le culture ispiratrici – e, nello specifico, mi è parso  fuori misura ascrivere al povero Gioco del rispetto una strategia di indottrinamento ideologico – non può però attivarsi in modo unilateralmente acritico.

Nello stesso confronto tra candidati sindaco in cui è ritornata la querelle che ho appena ripreso, sul tema dell’accoglienza degli stranieri Roberto Dipiazza ha dichiarato ad esempio – come si legge – «prima gli Italiani». È un pezzo di programma per il sociale a Trieste? Può darsi. Però a essere equanimi dobbiamo provare a leggere anche in questo caso il retroterra culturale di cui questa promessa è espressione. Ed è un retroterra che per una coscienza cristiana non è accettabile, perché è quello che stuzzica le “guerre tra poveri”. Da cristiano mi sento di dire invece prima i più poveri, prima i più fragili, prima chi ha perso di più, chi ha bisogno di riscoprire che Europa è cultura di fraternità. Non prima gli Italiani, né prima i Siriani, non prima i cristiani né prima i musulmani. Prima le persone che hanno più bisogno dell’essenziale per vivere in dignità. Poi delle soluzioni possiamo discutere: e sia chiaro che dire prima i poveri non significa dire prima l’illegalità, prima la delinquenza, prima l’assistenzialismo. Legalità, onestà, disponibilità al lavoro sono la cornice che uno Stato di Diritto con i suoi diversi livelli di amministrazione deve provvedere per tutti e chiedere a tutti, come patto sociale, come requisito per costruire bene comune.

Dire «prima gli Italiani» significa fare culturalmente un grave passo indietro rispetto alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che non ha caso non è una Carta dei Diritti di Cittadinanza – come erano le precedenti – ma una Carta che riconosce che la dignità si lega all’essere persona, non all’appartenere a questa o a quell’altra civitas, a questo o a quel gruppo sociale. Dire «prima gli Italiani» significa poi strumentalizzare il disagio degli Italiani che hanno meno, indirizzando il loro disappunto verso altri poveri, anziché verso chi perpetua la logica dell’accaparramento privato delle risorse comuni e verso la cattiva politica che strizza l’occhio a questi poteri. Perché ricordiamoci che lasciare che i più poveri si combattano tra loro è, da sempre, il modo dei molto ricchi al potere di occuparsi indisturbati delle loro convenienze personali.

In un certo senso allora è vero che anche alle amministrative si confrontano tra loro delle culture, dei modi di concepire la società, la libertà, l’uguaglianza e – non meno rilevante – la fraternità. Certamente per i cristiani non è semplice scegliere, perché da qualunque parte vedranno disattesi aspetti dell’umanesimo che nasce dal Vangelo. Se dovessi però dire che cosa oggi mi preoccupa di più della nostra civitas, direi senz’altro la disattenzione agli ultimi e quel clima da mors tua vita mea che si diffonde a macchia d’olio nei tempi di crisi, e che non aspetta altro che “buone ragioni” – come l’amor patrio –, per sedare le coscienze, giustificando il fatto che vengano eliminati dal gioco alcuni tra i “concorrenti” che si rivolgono al magro paniere delle risorse.

Chiunque prevalga, ci sarà da esercitare vigilanza sui diversi provvedimenti che si faranno espressione (in alcuni casi prossima, in altri remota) ora di questa, ora di quella cultura del vivere sociale. Ciascuno in queste ore valuterà, ma attenzione a concedere primogeniture sulla base di riflessioni unilaterali. La questione del Gioco del Rispetto, con tutto il rispetto, potrebbe non valere più di un piatto di lenticchie.