Un Christmas Overseas. Due volti del nuovo mondo

di Francesca Zaccaron

 

Immediatamente dopo Thanksgiving, Boston ha cambiato volto e di settimana in settimana si è immersa nell’atmosfera pre-natalizia. Luci, vetrine, musiche alla radio e in tutti i negozi a ricordarci che il Signore, ah no, pardon “Santa” is coming. Ma anche iniziative benefiche, momenti di preghiera comunitaria e momenti conviviali. Da un lato l’espressione del consumismo, della frenesia, della ricerca spasmodica della gioia tra glitters e canzoni d’atmosfera; dall’altro la cura per ogni liturgia, per ogni incontro, per ogni cena insieme. Persino negli spettacoli di Natale vi è una commistione tra la nascita di Gesù e la presenza di (appunto) Santa Claus. Ma nel primo pomeriggio del 24 dicembre buona parte dei negozi chiude, e un dirigente di un supermercato intervistato alla radio afferma: «Facciamo in modo che alla Vigilia di Natale tutti i nostri dipendenti possano rientrare dalle loro famiglie. Mettersi in viaggio o semplicemente cucinare. E poi trascorrere del tempo insieme, intorno alla tavola imbandita». Rejoice! Perché qui per la fretta si mangia spesso in piedi, in orari diversi. La famiglia è parte in New Hampshire, parte in Illinois, parte in Minnesota, qualche zio anche in Montana. E il viaggio, che va programmato con largo anticipo, nella speranza che a Chicago la neve non blocchi l’aereoporto, è una delle rare occasioni durante l’anno in cui incontrare i propri cari. Abbracciarli, trascorrere del tempo raccontando la vita e, perché no, mangiare ancora un po’ di turkey con salsa di cranberries (tacchino in salsa di mirtilli: tra l’altro tipico a Thanksgiving, la Festa del Ringraziamento). Si moltiplicano gli addobbi anche nelle chiese, ma gli alberi sono sobri (solo luci) e anche il Presepe è molto semplice: Gesù (già presente nella mangiatoia, nessuna processione con il Bambino) Maria, Giuseppe, asinello e bue, qualche pastore. Easy. Le celebrazioni invece, preparate con cura, si riempiono di effetti speciali: luci soffuse durante le letture, danzatrici che portano in processione il Lezionario, strumenti musicali di ogni sorta, applausi e jokes, battute, durante le omelie, in un mix che potrebbe anche risultare una liturgica stonatura. Ma gli Americans hanno dentro – e spesso faticano a rivelarlo – un profondo desiderio di Dio, di comunità, di Vita: questo permette di non focalizzare l’attenzione sul tailleur rosso fuoco (con tanto di fiore a piume sul bavero) indossato dal soprano, ma lasciare che le parole del suo canto ci riportino in quella “O little town of Bethlehem” dove in quella Santa Notte è accolto il Signore. E poi l’americans reunion per il giorno di Natale: tutta la famiglia riunita (ma proprio tutta, ove possibile) tutte le pietanze sulla tavola. Quando i piatti sono pieni, prima di iniziare, momento di silenzio e preghiera di ringraziamento. Si mangia, si sparecchia insieme, e poi regali, giochi e dolci. Allegria e fraternità nella condivisione. Un Christmas overseas. Diverso nei dettagli, uguale nella sostanza, nella gioia di una comunità cristiana che canta “Hark! The herald angels sing, Glory to the newborn King!Merry Christmas!