Torta a torta. Non l’ho vista. A quell’ora cerco di dormire o di accompagnare il mio restio figlio all’appuntamento con Morfeo. Ma l’ho sentita, o meglio l’ho sentita risuonare in diversi contesti. Per lo più, contesti di critica anche veemente: convocazioni dinanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia; infiniti tweet più o meno popolari che denunciano lo schifo di un palcoscenico, finanziato dai soldi dei contribuenti, costruito per sbirciare nel focolare domestico di una famiglia mafiosa, anzi LA famiglia mafiosa; interviste furenti di parenti (figli, fratelli…) delle vittime di Mafia, su tutti Salvatore Borsellino, Nando Dalla Chiesa, Maria Falcone.
Quanto è (in)opportuna l’ospitata al profumo di mafia in un talk show popolare, ancorché in seconda serata? Quanto è avvilente un’intervista formato famiglia che nei temi, nei tempi e nei modi edulcora, dolcifica, attenua, anestetizza la memoria di una stagione feroce, sanguinolenta, mortifera? Ci sono infinite risposte, ognuno dia la sua. A me piace il taglio dato dal giornalista Claudio Fava (si può trovare sul suo profilo Facebook, dal titolo “Le domande giuste”), che non si scaglia contro il concetto in sé di intervista ad un parente di mafioso, ma con lo stile nel condurre un’intervista. Estrapolo: «Se quell’intervista hai voglia (e le palle) per farla, la fai come si deve: costringendo il cerimonioso rampollo a parlare degli ammazzati collezionati dal padre, dell’odore del napalm che attraversava quegli anni palermitani, dei soldi accumulati dal suo genitore, del potere esercitato, delle obbedienze ricevute. Dei suoi amici, gli chiederei. Dei protettori, dei servi, degli imbelli. Gli chiederei di parlare di Cosa Nostra, altrimenti aria!». Chissà se qualcuno gli porrà mai queste domande, che, immagino, non avranno trovato adeguato spazio nelle pagine al profumo di pandolce del libro pubblicizzato in trasmissione. Torta a torta.