Cristo si è fermato a Wuhan

di Arturo Pucillo

In questi giorni sta girando in rete uno scritto-testamento ad opera di Li Wen Liang, il medico oftalmologo cinese che per primo scorse e denunciò i rischi di un’epidemia del virus allora misterioso, oggi più familiare ma non per questo meno preoccupante.

Li Wen Liang è morto, vinto dal nemico invisibile che egli aveva visto. Li Wen Liang era cristiano, così ci narrano, e da cristiano ha scritto una poesia che brilla come luce nel buio della notte. “Non voglio essere un eroe”, eppure ha deciso di rischiare di lasciare genitori, moglie incinta e figli perché tante persone innocenti “anche se stanno morendo mi guardano sempre negli occhi, con la loro speranza di vita”. Per lui ad un certo punto c’è stata solo certezza di morire, di giungere a quella “luce nel cielo” alla fine della quale c’è il “paradiso di cui spesso la gente parla”. Non sono parole rassegnate. Della sua città, dice “spero che, dopo il disastro, imparerai cosa significa essere giusti. Mai più brave persone dovrebbero soffrire di paura senza fine e tristezza indifesa”. Chiude citando San Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho finito la gara. Ho mantenuto la fede. Ora c’è in serbo per me la corona della giustizia”.

A noi resta un atto di sommo coraggio che, con ogni evidenza, non è manifestazione estemporanea ma è il frutto buono di una vita di fede matura, di una cura interiore indefessa, di una capacità di uscire da sé che sembra soprannaturale perché è semplicemente di Dio. Cristiano è chi non ha “amore più grande che dare la vita per i propri amici” (Gv 15), e quando giunge il momento ha già dentro di sé deciso di dare il proprio sì alla vita per gli altri.

Cristo si è fermato a Wuhan, accanto a Li Wen Liang, perché noi ne contemplassimo l’opera: Signore, grazie per averci mostrato la Tua salvezza!

Torna in alto