Roma, 05.11.2019

di Andrea Dessardo

 

Pur abitando a Roma ormai da due anni non ero mai stato al Villaggio giuliano-dalmata della capitale, di cui tanto avevo sentito parlare e che mi ero ripromesso di visitare prima o poi, ma senza sapere neppure dove fosse esattamente: all’Eur, ad almeno un’ora da casa. L’occasione me l’ha data finalmente niente meno che don Francesco Bonifacio, o almeno Mario Ravalico, il suo infaticabile araldo. Non dovremmo mai smettere di ringraziare Mario per il suo impegno, che da ormai dieci anni lo porta in giro dappertutto a testimoniare il martirio del sacerdote istriano e la storia della sua gente dispersa.

Nonostante abbia sentito più volte le testimonianze sulla sua vita, e benché abbia letto tutto quanto è stato pubblicato su di lui, non smetto di stupirmi di quanto la sua figura ancora riesca a trasmettere, quanti frutti di grazia faccia maturare. L’esperienza è stata tanto più forte nella cornice del Villaggio giuliano-dalmata, un piccolo focolare in cui continuano a vivere le tradizioni delle terre abbandonate, un pezzo d’Istria nella profonda periferia romana. E così mi sono ritrovato, martedì 5 novembre, nella biblioteca della parrocchia di San Marco in Agro Laurentino, a sentire un’altra volta Mario raccontare del beato e delle sue ricerche per far luce sulla sua vicenda.

Sulla piazzetta davanti la chiesa (piazza Giuliani e Dalmati) un cippo ricorda l’esodo. Oliviero Zoia, presidente dell’associazione Giuliano-Dalmata nel Cuore, che anima la vita del quartiere, mi racconta con soddisfazione che il prossimo 10 febbraio verrà disegnata sul selciato la sagoma dell’Istria con tante mattonelle di maiolica. Me lo dice – lui nato a Roma da genitori esuli da Abbazia – parlando fieramente in un dialetto istro-veneto venato di romanesco: è nato là, in viale Oscar Sinigaglia (dal nome dell’ingegnere siderurgico direttore dell’Opera d’assistenza ai profughi, romano ma genero di Teodoro Mayer fondatore de “Il Piccolo”), dove c’è il Bar “Zara”.

Sempre lì, in via Antonio Cippico, che prende il nome dal letterato dalmata professore di letteratura italiana a Londra, c’è la sede della Società di Studi Fiumani, con annesso il suo museo e l’archivio storico, che dal 1952 ha ripreso a pubblicare la rivista “Fiume”, fondata in riva al Quarnero nel 1923 e sospesa durante la guerra. Nello stesso edificio ha sede anche il Centro di documentazione regionale dell’esodo.

Il presidente Marino Micich interviene anche lui, dopo Mario, e dopo Maria Ballarin della locale Associazione di cultura giuliano-dalmata, che offre ai presenti un quadro storico dell’Istria all’indomani della guerra. Alle ricerche di Micich, alla sua caparbietà e alle sue capacità negoziali si deve il ritrovamento, nel luglio 2018, dei resti del senatore Riccardo Gigante, già podestà di Fiume (1930-34) e nel 1943 prefetto, ucciso sommariamente presso Castua dai partigiani jugoslavi il 4 maggio 1945; recentemente, nel maggio scorso, sono stati trovati altri ventisette corpi in una fossa comune a Ossero, sull’isola di Cherso. Si spera così di poter dare degna sepoltura anche alle spoglie di don Francesco, sparito tra Grisignana e Villa Gardossi l’11 settembre 1946. Mario e Giuliana Ravalico già hanno ricostruito in maniera convincente le sue ultime ore, individuando il luogo del suo arresto.

Sullo schermo viene proiettato il documentario di Giovanni Panozzo Sempre sia lodato e così scorrono tra queste pareti le vedute di Pirano, di Cittanova, di Grisignana, il mare e le colline dell’Istria e le immagini di noi dell’Ac di Trieste in pellegrinaggio in quei luoghi nel 2014. Mi rivedo seduto su una panca della chiesetta di Crassiza e sembra tutto insieme così lontano e così vicino, anche quando ascolto la signora Eufemia prendere il microfono per ricordare il suo esodo da Rovigno nel 1951, quando aveva sedici anni. Siamo tutti resti d’Israele.

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