Riflessione proposta al gruppo “Amici di Don Francesco”

di Don Antonio Bortuzzo

Da una riflessione fatta dal Beato don Francesco Bonifacio al ritiro mensile del 30 dicembre 1941.

L’argomento della meditazione è quanto mai d’attualità per me: l’accidia. 

Nella prima meditazione trovo descritto proprio lo stato della mia vita: fiacchezza, ozio, paura della fatica.

Quindi tiepidezza, incostanza. L’ozio nella giornata porta alla freddezza e negligenza nelle opere di pietà. Prego, celebro, medito, mi esamino la coscienza con molta pigrizia e leggerezza. Pare incredibile tanto a Cittanova come qui trovo tempo di girare, di star senza far niente. Pensare che di ogni istante che passa io devo render conto al Signore. 

Sono homo Dei, dunque tutta la mia vita devo passarla in modo che sia un canto di lode a Dio e luce ai fedeli. 

Quindi d’ora in poi: fedeltà all’orario, devozione nelle preghiere e fuga spietata dall’ozio. 

In particolare più attenzione alla sveglia senza pigrizia e riposo con un più serio esame di coscienza. 

Vediamo un po’ perché e come può essere attuale per noi questa riflessione risalente ad 80 anni fa. 

• Egli aveva ascoltato o fatto una riflessione su questo Vizio capitale o Pensiero malvagio, uno dei famosi 7 vizi capitali. Ora si può riflettere su questo e altri argomenti in molti modi: per esempio mantenendo un atteggiamento “scientifico”, di freddo distacco per esaminare il vizio in questione in modo teorico, considerando le cause che lo provocano e gli effetti deleteri che produce, ecc. ecc.; si può ancora fare questa riflessione immaginando una persona accidiosa, o pensando realmente a qualcuno che ha tutte le caratteristiche di questo vizio; sono due modi molto comuni di ragionare e anche molto semplici. Don Francesco non fa così ma si lascia interpellare dalla parola che ha ascoltato, la prende come rivolta a sé (è una sua costante caratteristica). Questa costante rivela un animo sensibile, abituato ad ascoltare così come insegna la Sacra Scrittura, cioè ad obbedire alla Parola. 

• Fra i molti caratteri dell’accidia egli ne sceglie tre, quelli che vede presenti nella sua vita, senza paura: fiacchezza, ozio, paura della fatica, dai quali deriva tiepidezza e incostanza. Egli trova così la catena generativa del male dentro di sé. Partendo dai sintomi si fa la diagnosi, e i sintomi sono 3 la fiacca, l’ozio e la paura di faticare. Da questi 3 si passa alle loro conseguenze: tiepidezza, cioè mancanza di slancio, di dedizione, di amore nel far le cose: si fanno così perché si devono fare o perché si è abituati a fare ma senza amore. Questo modo di fare le cose porta con sé tanta pesantezza, ci si stanca presto e quindi si smette di farle, non si fanno quando si deve, si fanno oggi sì e domani no, così si diventa incostanti, intermittenti. Come la luce di un tubo al neon quando inizia a funzionare ad intermittenza segnala la prossima fine di quella lampada, la tiepidezza che genera l’incostanza porta alla morte, allo spegnimento completo dell’amore. E l’accidia è proprio questo: mancanza d’amore nel pensare e nell’operare. 

• Don Francesco esamina quindi uno di questi sintomi che trova presente nella sua vita: l’ozio. Lo fa mettendo immediatamente l’ozio in rapporto con la sua vita di fede. Si ferma a considerare i danni che l’oziare provoca nella sua vita cristiana. Soprattutto quelle che si chiamavano pratiche di pietà. Anche se l’ozio provoca le stesse conseguenze a tutto campo anche nelle cose che non sembrano essere così direttamente “religiose” come i lavori di casa, la professione, lo studio, le relazioni con gli altri. 

• Proseguendo scopre che questa attitudine come una costante nella sua vita. Non dipende dal luogo dove si è o da chi ci sta attorno ma si trova dentro di noi. Rimane stupito da questa osservazione “è incredibile” questo fatto, ma vero, è così! ed egli non lo nasconde, anzi lo evidenzia con assoluta sincerità. 

• Dopo questa attentissima indagine uno potrebbe auto condannarsi, demoralizzarsi, arrabbiarsi con sé stesso o con gli altri, oppure lasciare di pensare a queste cose perché fastidiose. Don Francesco insegna qui in modo magistrale come proseguire. Pensa al momento finale della sua vita, quando anche noi, dovremo dar conto a Dio di come abbiamo usato il tempo che egli ci ha donato. 

• Il pensiero del giudizio divino lo risveglia, gli fa prender coscienza della propria dignità: sono homo Dei. Qui la sua riflessione, pur corretta, risente del modo di pensare e predicare della sua epoca. Il prete, uomo di Dio deve illuminare i fedeli con la santità della sua vita e la verità della sua parola, e i fedeli devono lasciarsi illuminare da lui. Oggi sappiamo bene che questo è il compito di ogni cristiano, non solo del prete. Ognuno di noi, in virtù del battesimo (e non dell’Ordine sacro), è luce del mondo e secondo la parola di Gesù deve stare sul candelabro, in alto (cioè con uno stile di vita che si differenzi dal modo comune di vivere, ovviamente in meglio!) per essere esempio, luce al prossimo. Fra don Francesco e noi c’è stato il Concilio Ecumenico Vaticano II che ha sottolineato fortemente la universale vocazione alla santità: nella Chiesa non vi sono due o tre classi di persone chiamate a diversi gradi di perfezione cristiana nella vita, come se fosse riservata, la santità, solo ai preti e ai religiosi/e e i laici si arrangiano come possono. Nella Chiesa c’è una universale chiamata a vivere santamente in ogni stato di vita, e la perfezione della santità sta, non nello stato di vita, ma nell’amore con cui si vive nel particolare stato di vita. 

• Don Francesco, lungi dallo scoraggiarsi o dall’arrabbiarsi riporta alla memoria lo scopo fondamentale della propria vita: trasformarla in un canto di lode a Dio che diventa perciò luce per gli altri. Questo è ciò che Dio si attende da tutti i battezzati. 

• Alla fine emerge un’altra nota costante negli scritti del nostro Beato, e anche qui possiamo imparare come l’ascolto attento scende nelle piccole cose della vita e le trasforma. Illuminato dal pensiero dell’incontro col Signore, che gli fa scoprire la propria dignità e lo scopo della propria vita, si propone 3 cose: dal fine si passa ai mezzi opportuni per raggiungerlo. 

fedeltà all’orario (farsi un orario di vita è un’ottima cosa, soprattutto se gli si resta fedeli, mette ordine nella nostra attività e ci impedisce di perdere tempo inutilmente; e su questo risulta più facile poi fare l’esame di coscienza); 

devozione nelle preghiere (pregare con amore, alla presenza cosciente del Signore, mai per abitudine o automaticamente!) – se la preghiera non è un atto d’amore non serve a nulla! 

fuga spietata dall’ozio: impressiona l’aggettivo spietata, cioè senza misericordia o condiscendenza verso la propria naturale inclinazione all’ozio. La guerra costante, la spada di cui parla Gesù, contro tutto ciò che nella nostra umanità ostacola il compimento della Volontà di Dio. 

• Infine formula un proposito concreto: che riguarda l’inizio e la fine del giorno.  
iniziare prontamente la giornata quando suona la sveglia 
chiuderla premettendo l’esame di coscienza fatto in modo più serio.  
Sono cose utili e spesso necessarie per tutti e alla portata di tutti, sono pensieri adatti specialmente a questo tempo di Quaresima perché si parte proprio da qui per un serio cammino di conversione. 

• In queste poche righe don Francesco ci ha insegnato il cammino della conversione che va dall’apatia della accidia, all’amore generoso, apostolico verso il Signore e verso gli altri, nell’attesa della sua Venuta anche noi mettiamoci sulle sue orme a seguire Gesù e a preparare la sua venuta nella gloria. Amen. 

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